sabato 31 dicembre 2011

In principio... alla fine

In principio era la Parola,
e la Parola era presso Dio
e la Parola era Dio.
Essa era, in principio, presso Dio:tutto è stato fatto per mezzo di lei
e senza di lei nulla è stato fatto di ciò che esiste.

(Gv 1,1-3)

Nel frastuono insensato di fine anno, mentre fiumi di parole vuote inondano l'aria, la liturgia ci offre l'unica certezza - eterna - la Parola che è fin dal principio, la Parola che è Dio, la Parola che tutto ha creato, che sempre crea, senza fine!
La Parola che salva il silenzio, che dal Silenzio sgorga, e nel silenzio può essere accolta. La Parola che è luce e vita, che è strada e futuro, perchè è dal principio.

E la Parola si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi

(Gv 1,14)

L'unica Parola che può dare senso e speranza a ogni nuovo giorno. Scavi ogni giorno in noi il desiderio insaziabile di diventare carne di questa Parola, fragile vita feconda di eternità.

giovedì 22 dicembre 2011

PER NOI IL LIETO ANNUNCIO DI UNA GRANDE GIOIA!

Rubens, Natività
Natale del Signore

Is 9,1-6
Tt 2,11-14
Lc 2, 1-14

A mezzanotte, nell'ora più buia.
Nei nostri giorni oppressi da una crisi che vogliamo illuderci sia solo economica, ma è crisi esistenziale, crisi di senso, crisi di significati e di valori, crisi di relazioni sempre più gestite dai criteri del potere, della violenza, dell'autosufficienza fino all'isolamento e alla disperazione...
Oggi, in quest'ora, un annuncio ci raggiunge mentre una luce ci avvolge, se abbiamo cuore per udirlo e occhi per vederla:
Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio...
Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace.

Solo nel silenzio è possibile ascoltare l'annuncio e lasciare che il cuore vi trovi riposo ed ebbrezza.
Solo nel silenzio è possibile trasalire per un annuncio sorprendente:
"Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia".
Solo chi non è assordato dal bisogno urlante del successo, della ricchezza, delle apparenze, della forza, del potere in ogni forma; chi non è assordato dal grido della paura di perdere uno status conquistato con ogni mezzo... può ascoltare questo annuncio...
Solo chi non è abbagliato dall'oro, dalle bellezze di moda, dalle immagini pubblicitarie che assolutizzano esigenze inesistenti... può vedere la luce... che viene da un bambino in una mangiatoia.
Solo chi sente il bisogno estremo di essere liberato dal buio della notte, dal grido del nulla, dall'angoscia del dolore, della paura, del male, può trasalire di gioia nel contemplare le sorprese di Dio.
Il Bambino nella mangiatoia è la contestazione di Dio al nostro modo di pensare Dio, alle nostre pretese di autosufficienza, alle maschere di cui abbiamo vestito natale, ai nostri sprechi e alle nostre crisi, al nostro finto modo di amare e di "essere buoni".
Il Bambino nella mangiatoia è la salvezza che Dio offre ai peccatori, ai poveri: a tutto il popolo.
"Per noi" è questo Bambino, che è Dio nella carne umana. Tanto Dio ama l'umanità peccatrice da farsi una carne sola con lei. Nel nascondimento del seno di Maria, a Nazaret, lontano dai luoghi del potere politico, delle classi sociali emergenti, dei gruppi religiosi puù osservanti, lontano dal tempio e all'insaputa della classe sacerdotale, Dio per sempre si fa uomo per la salvezza di tutti. Nella semplicità e nella povertà di un alloggio per animali, nel parto di una giovane sposa - quale avvenimento più naturale? - lontana dalla propria casa, la salvezza promessa da secoli si rivela ai pastori: non i più meritevoli, non i più osservanti, non i più devoti, non i più innocenti; solamente i più... ultimi! Ma questa salvezza non è solo per loro: è per tutto il popolo. Così agisce e si rivela il Dio potente!

"Per noi" è questo Bambino in una mangiatoia! A Betlemme - Casa del Pane!
Questo il segno!
Impastato di Spirito Santo e carne, come la farina si impasta con l'acqua, questo Bambino, Figlio di Dio e di Maria, viene fin dal primo istante come Pane per la nostra fame - o siamo troppo sazi?
Pane che chiede di essere masticato per farci assaporare l'amore, per diventare uno con la carne di noi peccatori e renderci figli salvati, capaci di gioire oltre ogni povertà e tribolazione, capaci di trovare senso nell'amore.
Pane che chiede di diventare nostro nutrimento, nostra sazietà, per renderci capaci di condividere, con quel pane, anche la nostra vita. E farne un dono gioioso, un'offerta di speranza. Per tutto il popolo.
Un unico Pane per i figli dispersi nelle divisioni, nelle gelosie, nei rancori, negli odi, nelle indifferenze, perchè tornino, fratelli, all'unico Padre per sempre. Così agisce e si rivela il Principe della Pace.
E nella gioia del Natale possiamo gridare l'annuncio:
"E' apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia, con pietà... Gesù Cristo ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone"

Il Vangelo di Maria

Giotto, Visitazione, Padova, Cappella degli Scrovegni


A ogni vespro le nostre labbra ripetono il cantico di Maria in casa di Zaccaria, nell'incontro con Elisabetta. La luce ricevuta dalla Parola dell'annunciazione, la storia che quella Parola realizza nel suo seno di vergine e nel seno sterile di Elisabetta, permettono al suo cuore di vedere e comprendere l'agire amorevole di Dio, la rivoluzione che Egli compie nella storia che gli uomini credono di costruire senza di Lui. Dal cuore di Maria nasce e sgorga un canto che è Evangelo, come lo sarà il Frutto del suo seno, che nascerà a Betlemme. Ciò che Dio opera, che è l'esatto contrario dell'opera degli uomini è il lieto annuncio che quell'operare nascosto nella storia dei poveri è salvezza per gli uomini, altrimenti prigionieri e schiacciati dalle loro stesse opere...
E noi ripetiamo il cantico di Maria:
"L'anima mia magnifica il Signore
47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome;
50di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
51Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre".
... senza credere e senza riconoscere che questo sia il nostro Dio, il Dio di Abramo, di Maria e di Gesù Cristo...
...o senza desiderare o temendo che Egli davvero compia quanto Maria annuncia...
...o impegnandoci a ritardarne il compimento.
 
Donna del Magnificat e del Vangelo, tu che hai creduto, prega per noi peccatori, perché la luce della Parola ci conquisti il cuore e la vita e ci faccia credere e amare e servire il compimento della Parola del Signore.

domenica 18 dicembre 2011

Sii felice!

Beato Angelico, Annunciazione


Quarta Domenica di Avvento B
2Sam 7,1-5.8-12.14.16
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38
"Non ho mai chiesto a nessuno una casa di cedro" dice Dio a Davide. "Da quando sono uscito dall'Egitto insieme al mio popolo, ho sempre abitato sotto una tenda".
Costruire una casa a Dio, significa ridurlo alle mie dimensioni, ai miei orizzonti, imprigionarlo nelle mie idee e nei miei progetti. Solo un idolo può essere rinchiuso in una casa. Non il Dio vivente, che ama abitare la fragilità e la libertà di una tenda.
Una tenda di carne, carne umana.
Non si può costruire una casa a Dio, fosse anche di cedro, fosse anche d'oro.
Ma si può diventare casa di Dio!
Davide non potrà fare una casa a Dio, ma Dio abiterà nella discendenza di Davide.
Nel seno di una donna, in un paese di periferia, sconosciuto.
Quarantasei anni aveva impiegato lo straordinario ingegno di Erode a realizzare lo splendore del tempio di Gerusalemme, la città santa.
La breve parola di una fanciulla di Nazaret permetterà a Dio di farsi la casa che da sempre ha cercato.
Giacobbe voleva conoscere il nome dello Sconosciuto con cui aveva combattuto una notte intera. "Perché mi chiedi il nome?" si era sentito rispondere: "Io dò un nome a te: Israele".
"Come ti chiami?" aveva chiesto Mosè alla voce che gli parlava dal roveto e che si era presentata come il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: nessuno di loro, pur essendo nella sua amicizia, aveva potuto conoscerne il Nome. "Io sono colui che ha misericordia e che scende a liberare il suo popolo".
Colui a cui nessuno ha potuto dare una casa né un nome, entra da Maria e a lei chiede casa, alla sua carne e alla sua vita, al suo cuore. E lei lo chiamerà Gesù. Ogni amato gioisce di ricevere nome dalle labbra dell'amata. A Maria Dio chiede casa e nome e a sua volta, come sempre, mette a lei un nome nuovo: Piena di Grazia, Gioia di Dio.

"Rallegrati, dunque, sii felice! Dio viene a te con le sue sorprese. E i tuoi progetti... i tuoi sogni di promessa sposa... progetti semplici, qualunque, progetti comuni a tutti, progetti considerati da sempre volontà di Dio... progetti che ti fanno palpitare di trepidante gioia, di sottili timori e luminose speranze... che danno forza e solidità a un impegno di fedeltà.
Ma Dio è capace di sorprese... da Dio! E tu lo interroghi - soprendente anche questo! - ed Egli si compiace di risponderti, perché tu non tema di diventare Roveto: arderai senza consumarti, perché Egli, in te, diventerà piccolo, figlio. Il Figlio eterno di Dio, in te piccola serva del Signore, diventerà tuo Figlio e a Nazaret lo chiameranno sempre "Figlio di Maria".
Tu, per noi, lo chiamerai Gesù.
Donna soprendente, capace di accogliere con un "eccomi" le soprese di Dio, e di esserne felice.
Preparaci, donna dell'avvento, a riconoscere e amare le sorprese di Dio.
Insegnaci, felice serva del Signore, che non possiamo noi fare casa al Dio vivente, e nessun altra cosa. Donna di Nazaret, insegnaci che nella quotidianità semplice, là dove non lo cerchiamo e quando non lo aspettiamo, dentro e oltre ogni nostro progetto, nella povertà fragile della nostra carne, Egli chiede di abitare, desidera essere chiamato e creduto "Salvatore", rivelarci una gioia nuova, che spesso non sappiamo scorgere e può restarci sconosciuta...
Gioia di Dio, Madre del Figlio, rivelaci la gioia di diventare - per grazia - casa del Figlio, a nostra volta figli.














domenica 4 dicembre 2011

Occhi e voce di sentinella

Caravaggio, Giovanni Battista

Seconda domenica di Avvento B
Is 40,1-5.9-11
2Pt 3,8-14
Mc 1,1-8

Compiti della sentinella: vegliare; essere capace, anche nell'oscurità, di riconoscere ciò che accade; alzare la voce per avvertire di un pericolo o per annunciare una lieta notizia di pace e di vittoria. Una sentinella non veglia solo per se stessa, ma anche per il popolo.
Giovanni Battista è la sentinella che lo Spirito di Dio ha suscitato in Israele perché rendesse possibile l'accoglienza del Cristo. La sentinella deve essere attenta unicamente al suo compito, non può concedersi distrazioni, interessi diversi... Viveva nel deserto, vestiva di peli di cammello con una cintura. Tutto è ridotto all'essenziale, anche il cibo. Tutta la sua attenzione è rivolta allo Spirito di Dio e alla Parola che lo investe nel deserto e che gli permettono di riconoscere l'Atteso, l'Inviato, il Salvatore, l'Agnello.
Di nascita, Giovanni è sacerdote, come suo padre Zaccaria. Il suo annuncio e il suo ministero dovrebbero svolgersi nel tempio ed egli dovrebbe vestire di quelle vesti prescritte già da Mosè.
Invece Giovanni, sentinella, va a svolgere il suo compito nel deserto, dove Dio lo ha attirato, come Israele giovinetta.  Là, spogliato delle vesti del sacerdozio, lontano dal potere di attrazione delle belle pietre del tempio, Giovanni, consacrato dallo Spirito fin dal seno materno, può fissare lo sguardo purificato su ciò che Dio compie per il suo popolo. E può gridare per preparare la via al Vangelo di salvezza. E' lui la Voce che annunzia la consolazione di Israele promessa da Isaia. Giovanni non è il Vangelo: è la preparazione della via. Egli non è la Parola: è la Voce. Non è la Luce: è la lampada.
Egli non è il Cristo:  è lo sguardo che lo riconosce e lo contempla, è il dito che lo indica.
Giovanni è la sentinella che non attrae gli sguardi e gli interessi su di sé, che non cerca plausi e successi, non blandisce folle offrendo ciò che le folle amano sentire. Giovanni non è cembalo che tintinna a vuoto, non è bronzo che risuona o tamburo che rimbomba. Non è canna agitata da ogni vento: dirà Gesù.
Incommensurabile è la grandezza di Giovanni quando proclama: "Viene dopo di me colui che è più forte di me... io vi ho battezzato in acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo"; insuperabile quando arriverà a spostarsi dietro Colui che deve crescere. Non lo sfiora il peccato così diffuso in ogni realtà umana, compresa la Chiesa, a cominciare dalle nostre comunità, di chi si crede e si rende indispensabile, di chi si crede strumento privilegiato e insostituibile dell'agire di Dio. 
E così Dio e il suo Cristo e il suo Vangelo diventano scontati, già saputi, prevedibili, programmati... fino a diventare noiosi e incapaci di svegliare la sete del cuore umano, di offrire refrigerio al deserto, di far fiorire la salvezza. E allora occorre scoprire qualcosa di più vivace e interessante della Parola, di più attraente e rallegrante del Vangelo... solo perché non c'è più voce... Qualcosa di più ricco e rassicurante del deserto... perché le sentinelle rinunciano al loro compito... E il tempio diventa più attraente e rassicurante del Dio che lo abita, le voci - in gara tra loro per attirare attenzione - più affascinanti della Parola, le luminarie più emergenti della Luce. E ci illudiamo di essere discepoli che si preparano al Natale.
Giovanni Battista, la sentinella, se facciamo attenzione, irride le nostre illusioni, le riduce in deserto, mentre fa fiorire nel deserto del cuore il germoglio della fede appassionante in Colui che sta in mezzo a noi e che noi non riconosciamo.
Giovanni è la Voce che vorrebbe oggi ridurci al silenzio, per prepararci al Natale di Colui che viene. A quel Natale che è sorpresa quotidiana di Dio nella nostra vita.
"Egli viene!! Spianate la via! Togliete gli ostacoli! Altrimenti non potrà raggiungervi! Smettete di fissare lo sguardo su voi stessi, anche voi chiamati ad essere sentinelle! Fissate lo sguardo sull'Agnello:  non il vostro potere, la vostra scienza, le vostre insegne, le vostre grida, i vostri successi, i vostri monumenti, ma la sua mitezza e il suo sacrificio faranno fiorire il vostro deserto.
L'Agnello, "come un pastore fa pascolare il suo gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri". 

sabato 26 novembre 2011

Sveglia!


Prima domenica di Avvento B
Is 63,16-17.19;64,2-7
1Cor 1,3-9
Mc 13,33-37

"Tu sei nostro Padre" grida Isaia all'inizio e a conclusione del brano che ascoltiamo in questo inizio dell'anno liturgico. Con lui tutto il popolo vuole ricordare a Dio - o forse a se stesso? - che egli è Padre. Non si viene al mondo e non si vive veramente senza un padre. Ogni figlio ha bisogno di conoscere e riconoscere il proprio padre. Il padre è sorgente e sicurezza di vita, è sostegno e forza, è guida e mano che accompagna. Il padre è arco che ti lancia e faretra che ti accoglie.

Il desiderio del Padre fa gridare al profeta e al suo popolo: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" Fame di patria, di vita, di pace, di riposo, di amore liberante. E il ricordo di ciò che Dio ha già compiuto per il suo popolo è sostegno alla speranza e alla fiducia che egli ancora si ricorderà di essere padre. Ma forse Isaia vuole al popolo ricordare che ha un padre e che di lui può e deve fidarsi, che lui deve ascoltare e seguire.
La nostra, del terzo millennio, è una generazione senza padre, dicono alcuni psicologi. Abbiamo perso il padre, come Israele molti secoli fa. E forse, il peggio, è che spesso si crede di poter fare senza! Il peggio è che spesso dimentichiamo di cercarlo, come se mai lo avessimo avuto! E chi ci indicherà la via per vivere?

"SVEGLIATEVI!" ci grida invece Gesù. Il Padre ha già squarciato i cieli, è già sceso, è vicino, ti cerca, ti ama, gioisce e soffre con te e per te!

Nella carne, nella vita, nelle parole, nel cuore, nelle gioie e nelle sofferenze di Gesù, il Padre E' VICINO, E' DENTRO LA NOSTRA VITA E LA NOSTRA STORIA.
"FATE ATTENZIONE! SVEGLIATEVI!" Perché in ogni ora egli ritorna, cioè sempre egli comincia e ricomincia ad essere padre della nostra vita, della vita di ciascuno. Ogni ora è buona per incontrarlo: alla sera, quando arrivano la stanchezza e le delusioni e si perdono le energie e gli entusiasmi; a mezzanotte, quando sembra che tutto sia solo tenebra e sopraggiunge la paura; o al canto del gallo che, come per Simon Pietro, grida la verità del peccato e del perdono; o al mattino quando si ricomincia e si cerca quel poco di luce che può indicare la strada e si riassapora il gusto della speranza...  Sono solo queste le ore della vita in questo mondo, quelle della penombra, della foschia o delle tenebre, comunque sempre ore di attesa della luce piena, che  chiede sempre di poterci raggiungere, ma che non sempre noi cerchiamo... perché è più semplice dormire...

"QUANDO LA LUCE GIUNGE NON VI TROVI ADDORMENTATI!" ci grida Gesù. Perché per chi dorme anche il mezzogiorno è buio come mezzanotte.

Le sentinelle vegliano per scrutare il primo annuncio della luce. E non vegliano solo per se stesse, ma per tutto l'accampamento, per tutto il popolo. Da loro dipende la vita e la salvezza dal nemico. Il nemico peggiore sono le tenebre e tutto ciò che induce le tenebre.
Perdere il significato e il valore della propria vita è già morire. Non avere un motivo vero per vivere, anche quando vivere significa rischiare di sacrificare la vita fino alla morte,  è essere già nella morte. Essere ostaggio della paura e della noia, aver abdigato alle proprie responsabilità, rinunciare a far fruttificare i doni ricevuti, smettere di credere e di crescere nell'amore è già essere nel sonno della morte. Scambiare il bene della persona e delle persone, dei popoli, con la buona salute dell'economia... scambiare il gusto della vita con il campionato di calcio... scambiare l'impegno educativo con l'incentivo alla carriera e al successo... scambiare la festa e il riposo con il disimpegno, lusso e lo spreco, il diveritmento deviante... scambiare la felicità con il potere e il possesso delle cose e delle persone... significa sprofondare sempre di più in un sogno menzognero e mortifero...

In Gesù, invece, Dio scende per svegliarci alla vita e all'amore.
Come le sentinelle, occorre essere ben svegli e attenti a ogni piccolo segno di presenza di un amore che rende possibile credere al domani, lottare per il bene oggi, essere nella gioia fin da oggi.
Occorre essere ben svegli: occhi, cuore, mente, aperti e attenti, sensibili e reattivi, responsabili. Per riconoscere la Sua presenza, per riconoscerlo anche là dove sembra più nascosto, dove meno lo aspetteremmo, nelle circostanze più impensate. Nei poveri. E chi non è povero?
Occorre essere ben svegli, per gioire per primi del primo segno di luce e per annunciare a tutti la stessa gioia.
Per cominciare sempre a vivere, ad amare, a impiegare i talenti, a rispondere alla sua voce che chiama ciascuno per nome: "Figlio mio!". E rispondere: "Padre nostro!" E tendere la mano. E offrire un sorriso. E condividere la fatica e offrire la speranza. E indicare la via dietro la Luce che ci riveste e guida e fa gioire il cuore e ceste di bellezza ogni povertà e debolezza.
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"  (Is 52,7)

lunedì 14 novembre 2011

Che io veda di nuovo!

El Greco, Guarigione del cieco

Luca 18, 35-43

Il più delle volte vedo buio e vedere buio significa non vedere. I miei occhi vedono solo in penombra, non riescono a ricevere troppa luce, se è troppa vedono ancora di più solo buio. E allora mi faccio idee strane: che il sole è scomparso, che il mondo è avvolto nelle tenebre; io per prima sono solo tenebra... naturalmente al buio non ci si può muovere, si va a sbattere, si cade, si precipita. La cosa più sicura è fermarsi. Sul ciglio della strada, dove gli altri, che forse ci vedono, posso vedermi e compatirmi e dire: poverina. E magari stendere la mano per far cadere nella mia uno spicciolo. Poiché al buio non vedo neanche me stessa e neanche un eventuale talento che dovrei aver ricevuto, mi trascino da un angolo all'altro della strada aspettando di ricevere almeno uno spicciolo di attenzione, di compassione - addirittura della compassione mi accontento! - del contatto di una mano che sfiora inavvertitamente e frettolosamente la mia... Ma il buio è una tomba! E nel buio della tomba, anche Dio è morto, incomprensibile e inaccessibile. Forse neanche penso di rivolgermi a lui... In fondo non è nemmeno così scomoda la cecità. Può essere più difficile persino doloroso vedere, perché io e gli altri siamo neri, buio... E se Dio è luce - dicono - è troppa e mi acceca ancor a di più.
E invece, quando qualcuno mi dice: "Passa Gesù" - ma io non lo vedo, forse si sbagliano, forse non è vero, forse lui non ha intenzione di ineterssarsi a me, e poi gli altri mi ostacolano... non mi aiutano, mi dicono di tacere... forse è meglio tacere... potrei perdere anche quello spicciolo... - quando qualcuno mi dice: "Passa Gesù", potrei decidere di gridare: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". E gridare ancora: Abbi pietà di me!
E già si è rotto qualcosa, una catena, perché aspetto che sia lui a decidere in che modo avere pietà di me. "Abbi pietà di me!". Il mio buio già si dirada, perché non lo accuso di avermi lasciato al buio, non lo interrogo sul perché della mia cecità, non gli chiedo conto di un talento che non vedo... soltano: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".
E allora comincia ad accadere quello che non avrei creduto: qualcuno mi dice che lui si è fermato, che mi guarda e aspetta che gli vada vicino, ma io non lo vedo; qualcuno mi dà la mano per accompagnarmi: ma dove, sarà poi vero? Forse la fede è camminare anche quando è notte fidandomi di chi mi dà la mano.
E la sua voce ferisce prima il mio cuore che le mie orecchie: "Che cosa vuoi che io faccia per te?".
E' come se mi chiedesse: davvero vuoi guarire? Ma che domanda è? Non lo capisce di che ho bisogno?
No, lui ci vede: lui sa di che ho bisogno. Forse sono io che non lo so bene...
"Signore, che io veda di nuovo!"
Non vedere come prima, non vedere con i miei occhi che non contengono la vera luce.
DAMMI OCCHI NUOVI, SIGNORE! DAMMI DI VEDERE CON QUEGLI OCCHI NUOVI CHE SONO I TUOI, SIGNORE!
E tu davvero mi dai una vista nuova, anzi mi riveli che me l'avevi già data prima di guarire i poveri occhi di carne, quando il mio cuore ha cominciato a vedere prima degli occhi. Quando ho potuto gridare - era la fede che gridava e io non lo sapevo - "Figlio di Davide, Signore, abbi pietà di me!"
DAMMI SEMPRE I TUOI OCCHI, GESU', PER VEDERE TE, E CON TE  VEDERE ME, PER VEDERE LA STRADA SU CUI SEGUIRTI, PER VEDERE CHE IL MONDO TI LODA ANCHE A CAUSA MIA.

sabato 12 novembre 2011

Il timore rende saggi, la paura stupidi

Pr 31,10-13.19-20.30-31
Sal 127
1Ts 5,1-6
Mt 25, 14-30

"Principio della sapienza è il timore del Signore": insegna il libro dei Proverbi (9,10).
E in queste domeniche Gesù ci sta mostrando personaggi sapienti e stolti, in contrapposizione. E si preoccupa di mostrarci come il Regno di Dio appartenga ai saggi, non agli stupidi.
Domenica scorsa ci mostrava fanciulle sapienti e fanciulle stolte: queste ultime venivano tenute fuori dal banchetto della festa di nozze, immagine del regno di Dio. La soltezza, infine, si identifica con l'incapacità di centrare il bersaglio, di raggiungere la meta.
Oggi Gesù ci mostra servi sapienti e un servo stupido. Più che servi ci appaiono uomini di fiducia del loro signore: a loro egli affida  ricchezze enormi. Un solo talento equivaleva a seimila giornate lavorative di un operaio, circa venti anni di salario.
Ma il servo che ha ricevuto un solo talento è reso stolto dalla paura. Dichiara apertamente la sua paura, che gli fa vedere il suo padrone in modo distorto, addirittura disonesto e prepotente. Perciò ha nascosto la ricchezza ricevuta in amministrazione: per paura.
Il timore rende saggi, perché il timore è rispetto affettuoso, devozione grata. Timore è riconoscere che Dio è Dio e non io, che Lui è unico e che solo in Lui c'è salvezza. Il timore, dono dello Spirito, è luce che apre gli occhi alla verità di Dio, è fuoco che fa innamorare di Lui, è adorazione amante che rende felici e fecodi, come la donna della prima lettura.
La paura, invece è buio che impedisce di vedere e riconoscere e così Dio diventa un fantasma che spaventa. E' disfunzione degli occhi e del cuore, che ci fa vedere in Dio la proiezione delle nostre cattiverie, violenze e prepotenze. E si fallisce. Si perde la meta e tutto il resto.
"So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo".
La paura lo acceca e gli fa vedere un Dio diverso dalla realtà. La paura lo paralizza e gli impedisce di agire e di rischiare. Mente e cuore sono atrofizzati. La paura lo rende stupido.
La paura non sa amare. "L'amore scaccia la paura" dice l'evangelista Giovanni.
Ogni volta che, in qualunque modo, si istiga alla paura di Dio e la si suscita, si indica la via della stupidità, della lontananza, della perdita di Dio.
Perché Dio è amore, amicizia, tenerezza sponsale, accoglienza, fiducia, perdono.
La donna che teme Dio è da lodare!
E' benedetto l'uomo che teme il Signore!
Sono figli della luce e figli del giorno e il Signore non li sorprenderà come un ladro ma come sposo amante che li chiama a condividere la sua gioia.

giovedì 10 novembre 2011

Dove trovare la felicità?


Dal libro della Sapienza 7,22-8,1

Nella sapienza c'è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile,
agile, penetrante, senza macchia,
schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto,
libero, benefico, amico dell'uomo,
stabile, sicuro, tranquillo,
che può tutto e tutto controlla,
che penetra attraverso tutti gli spiriti
intelligenti, puri, anche i più sottili.
La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento,
per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
È effluvio della potenza di Dio,
emanazione genuina della gloria dell'Onnipotente;
per questo nulla di contaminato penetra in essa.
È riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell'attività di Dio
e immagine della sua bontà.
Sebbene unica, può tutto;
pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova
e attraverso i secoli, passando nelle anime sante,
prepara amici di Dio e profeti.
Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza.
Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione,
paragonata alla luce risulta più luminosa;
a questa, infatti, succede la notte,
ma la malvagità non prevale sulla sapienza.
La sapienza si estende vigorosa da un'estremità all'altra
e governa a meraviglia l'universo.

domenica 6 novembre 2011

Ho visto...

Marc Chagall, Cantico dei cantici

Meno di un mese fa, improvvisamente, sono stata chiamata accanto a mia zia, in ospedale, stava molto male... stava morendo!
Una zia suora, sorella di mio padre, ultima di sette fratelli.
Quando io sono nata, lei non aveva ancora 17 anni. Una settimana dopo il mio battesimo è uscita dalla famiglia per entrare nella famiglia delle Figlie di S. Anna.
Una zia che ho imparato a conoscere e amare, perché era molto amata da mio padre e dalla famiglia; viveva lontano: negli anni '60 e '70 la Lombardia e l'Emilia erano molto lontane dalle Marche, ma mio padre amava viaggiare per andare a trovarla: ogni volta era un avvenimento; lo erano ancora di più i suoi ritorni, piuttosto rari, nella  casa paterna.
Dagli anni '80 in poi le cose sono diventate più facili: tornava a casa tutti gli anni. Io, però, ero entrata a mia volta nella Compagnia Missionaria e, anche se ero a Bologna, più vicina a lei, non era facile trovare le occasioni per incontrarci. Capitava, di tanto in tanto... e poi qualche telefonata... poi sono arrivata in provincia di Napoli... e i contatti si sono ancora ridotti.
Da sempre era impegnata nella scuola materna, spesso come responsabile della scuola, per molti anni come superiora delle comunità in cui era inviata: Caccivio, Fiorenzuola d'Arda, Salsomaggiore, Lodi, Medicina, Portonovo, Consandolo, S. Pietro in Gu, Filottrano, di nuovo Consandolo. A Medicina, la sua comunità accoglieva ragazze senza famiglia. In altri periodi sapevo che era impegnata in progetti di recupero di tossicodipendenti. Sempre aveva molto a cuore le famiglie dei bambini della scuola. Appassionata di pastorale, anche quando non mancavano le difficoltà, lavorava a servizio della parrocchia, soprattutto con i ragazzi e i giovani.
L'estate scorsa, sorprendentemente, ci siamo trovate nelle nostre famiglie, in vacanza. Dopo tanti anni, alcuni giorni al mare insieme: abbiamo avuto tempo di raccontarci tante cose. Per la prima volta, mi ha confidato la storia della sua vocazione, iniziata quando aveva 14 anni. Mi ha confidato anche gioie e fatiche. Aveva ancora una grande carica. Stava riorganizzando dei gruppi di spiritualità a Filottrano e ad Acquaviva Picena - il suo paese - e sarebbe andata tutti i mesi a incontrarli.

Il 12 ottobre mi raggiunge una telefonata: zia è ricoverata in ospedale da circa tre settimane, non ha voluto che lo sapessimo. Ora è grave. Il giorno dopo, con alcuni miei cugini, sono da lei. E' serena, sorridente. I medici dicono che non c'è più nulla da fare. Riceve il sacramento della sacra unzione, preghiamo insieme.
Siamo storditi: addolorati e sbalorditi. E' nostra zia, crediamo di conoscerla, ma...
Un continuo andirivieni di persone: sacerdoti, coppie di genitori dei suoi bimbi, uomini e donne giovani e anziani, suore... Saluta tutti, anche se è visibilmente affaticata. A tutti chiede notizie dei componenti la famiglia, ringrazia, manda saluti e baci... Riceve commossa i saluti dei bimbi e l'assicurazione che pregano per lei a scuola e a casa... Ogni visitatore esce nel corridoio a piangere, ci abbracciano, ci raccontano quanto bene hanno ricevuto da lei: storie sorprendenti.
Di tanto in tanto le chiediamo: "Zia, sei stanca?". "Un pochino", ma continua a parlare, a salutare, a ringraziare, a pregare. Le chiediamo: "Come ti senti? hai male?". "No, un po' di fastidio". E sorride. Non mangia più e non chiede nulla. Si preoccupa del nostro viaggio e di dove saremo alloggiati. E' contenta quando le dico che in due resteremo con lei durante la notte. Fino a tardi riceve visite. Poi una notte tranquilla. Riposa.
Il giorno successivo, di buon mattino, riprendono le visite, i ringraziamenti.... e le lacrime dei visitatori.
"Zia, come stai?". "Bene, benino".
Ad un tratto chiede: "Che giorno è oggi?". "E' venerdì, zia". "Ah... credevo fosse sabato...". E poco dopo la stessa domanda; stessa risposta. E ancora. Allora le chiedo: " Perché desideri il sabato? Perché è il giorno della Madonna?". "Sì... credevo fosse sabato.... credevo fosse sabato... credevo fosse sabato...". Ad una suora presente confido: zia aspetta domani, sarà quello il suo giorno.
Trascorre ancora una giornata intensissima: continue visite, preghiera, con qualche momento di assopimento. La sera resto ancora con lei. Si addormenta, ma prima di mezzanotte il suo respiro cambia. Vengono medici e infermieri, tentano qualche intervento terapeutico, inutile. La respirazione diventa difficilissima. Invoca Gesù, Maria e Madre Rosa, la fondatrice del suo istituto. Prego con lei: Ave Maria.... Invochiamo il Cuore di Gesù. Non riesce a respirare, ma continua a mormorare preghiere e invocazioni. Ad un tratto inizia le invocazioni dei moribondi: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia... Continuo a pregare con lei... Le iniettano forti sedativi... e intanto arrivano due suore a cui ho telefonato. Le restiamo accanto, in silenzio, pregando... Porto in cuore ciò che ho visto e ascoltato in questi due giorni: non conoscevo così mia zia. e ringrazio Dio che concede a me di accompagnarla all'incontro, come quasi vent'anni fa facemmo con mio padre.
Peter von Cornelius, Le vergini sagge e le vergini stolte

Quando rende l'ultimo respiro -sabato mattina - risuonano in me le parole del Vangelo di Matteo: con la lampada accesa è andata incontro allo Sposo.
L'olio che ha alimentato la lampada l'abbiamo visto in questi giorni e ancora al funerale: "E' passata facendo del bene" hanno detto in tanti; e ancora: "Era esigente, anche insistente e anche dura, ma sentivamo che lo era per amore. Ci ha fatto vivere esperienze di vita importanti. Era innamorata di Cristo e non poteva accettare che altri non lo fossero. Soffriva e gioiva, con noi e per noi. Certo, qualche volta ha anche sbagliato, ma ci ha voluto bene. Grazie a voi familiari per avercela donata".

sabato 29 ottobre 2011

Verità che smaschera

Francesco di Assisi, spogliandosi davanti al padre, al vescovo e alla folla, ci ha insegnato l'unico modo in cui è possibile ascoltare l'unico Maestro, seguire l'unica Guida, gioire dell'abbraccio dell'unico Padre: nudi, spogliati di ogni maschera e di ogni titolo.

GIOTTO, Francesco si spoglia delle vesti, Assisi, Basilica superiore di S. Francesco

La stessa Parola dell'unico Maestro, illuminandoci, ci spoglia, ci riduce a verità, alla gioiosa libera umile verità.
Abbiamo, dunque, solo necessità di ascoltare, senza troppo commentare, perché ogni commento potrebbe diventare maschera. Ascoltare la Parola come Francesco: SINE GLOSSA
 Disponendoci nel silenzio in cui risuona ciò che lo Spirito ha suggerito al cuore del profeta Malachia (1,10):
"Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?"

Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.  Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

martedì 11 ottobre 2011

Era l'aurora

11 ottobre 1962 - Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. Lo Spirito  Santo offriva alla Chiesa una nuova esperienza inebriante, di illuminata attenzione ai segni dei tempi, di verifica, di rinnovamento, di apertura a tutti i popoli e a tutte le culture, di incontro confronto e collaborazione con le chiese cristiane e con tutte le religioni; di riscoperta e di nuovo innamoramento della Parola di Dio annunciata e ascoltata in tutte le lingue, scavata e approfondita, ritrovata e riappropriata dai credenti come il tesoro nascosto; esperienza inebriante di riscoperta ineffabile e di presa di coscienza dell'insuperabile dono del battesimo che innesta a Cristo ogni uomo e ogni donna, rendendoli in Lui tutti re sacerdoti e profeti - Chiesa; di rinnovamento della liturgia  celebrata in tutte le lingue, incarnata nella vita degli uomini  e delle donne, tutti chiamati a  parteciparla consapevolmente; esperienza ineffabile di rinnovata pentecoste che chiamava ancora la Chiesa a contemplare, celebrare e servire il mistero eterno dell'amore di Dio e il suo disegno di salvezza e di santità universale, di cui la Chiesa - come Israele peccatrice e santificata - è segno e profezia.

La Chiesa giovane alla messa del Papa, GMG, Madrid 2011

Dal discorso di apertura del Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII:
Venerabili Fratelli,
La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II.

 Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza. Contempliamo infatti stelle aumentare con il loro chiarore la maestà di questo tempio, e siete voi, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni ; e per voi risplendere i candelabri d’oro intorno al sepolcro del Principe degli Apostoli, che sono le Chiese a voi affidate. Vediamo anche le degnissime personalità che sono convenute a Roma dai cinque continenti, in rappresentanza delle proprie Nazioni, e che sono qui presenti con grande rispetto e in cortesissima attesa.
Si può dunque dire che i Santi e gli uomini cooperano nella celebrazione del concilio: i Santi del Cielo sono impegnati a proteggere i nostri lavori; i fedeli ad elevare a Dio ardenti preghiere; e voi tutti, assecondando prontamente le soprannaturali ispirazioni dello Spirito Santo, ad applicarvi attivamente perché le vostre fatiche rispondano pienamente alle attese e alle necessità dei diversi popoli. Perché ciò si avveri, si richiedono da voi la serena pace degli animi, la concordia fraterna, la moderazione delle iniziative, la correttezza delle discussioni, la saggezza in tutte le decisioni.
Che il vostro impegno e il vostro lavoro, ai quali sono rivolti non solo gli occhi dei popoli, ma anche le speranze del mondo intero, corrispondano largamente alle attese.


Dio Onnipotente, in te riponiamo tutta la fiducia, diffidando delle nostre forze. Guarda benigno a questi Pastori della tua Chiesa. La luce della tua grazia superna Ci assista nel prendere le decisioni, sia presente nell’emanare leggi; ed esaudisci prontamente le preghiere che rivolgiamo a te in unanimità di Fede, di voce, di animo.
O Maria, Aiuto dei Cristiani, Aiuto dei Vescovi, il cui amore abbiamo recentemente sperimentato in modo particolare nel tuo tempio di Loreto, dove abbiamo venerato il mistero dell’Incarnazione, con il tuo soccorso disponi tutto per un esito felice, fausto, propizio; insieme con il tuo Sposo San Giuseppe, con i Santi Apostoli Pietro e Paolo, con i santi Giovanni Battista ed Evangelista, intercedi per noi presso Dio.
 A Gesù Cristo, amabilissimo Redentore nostro, Re immortale dei popoli e dei tempi, amore, potere e gloria nei secoli dei secoli. Amen

domenica 9 ottobre 2011

Tutti invitati!

                                                    M. Chagall, Le nozze,1910

Is 25,6-10a
Mt 22,1-14

Da cinque domeniche la Parola di Dio sta gridando di amore e di dolore.
Però... Gesù - Parola di Dio fatta carne - sta gridando attraverso le parabole. Così possiamo sentire senza ascoltare, guardare senza vedere; possiamo scegliere di comprendere o non comprendere, accogliere o restare incuranti, lasciarci amare, rispondere all'amore o chiudere la porta e dedicarci a qualcosa di più interessante...!!!!!!
Quel Dio che grida l'amore sceglie di farlo "in parabole": il modo più semplice e profondo, più chiaro e nascosto, più umano e più divino; il modo che lascia noi più liberi e rende lui più vulnerabile. Fino alla fine Dio continuerà a soffrire e gridare l'amore, nella speranza che qualcuno lo accolga. Perché fin dal principio il suo progetto è condurci a nozze, vestirci dell'abito nuziale, cioè darci la sua stessa vita.

Nella liturgia di oggi, il profeta Isaia annuncia un banchetto succulento, dove scorre vino delle migliori qualità: a cui tutti sono invitati!
E anche Gesù narra di un banchetto, non più annunciato - come in Isaia - ma ormai in corso: anche a questo banchetto - rifiutato dai primi invitati - tutti sono invitati, senza nessuna distinzione, senza diritti e senza titoli di merito!
Ma quando mai!

E' incantevole come la Parola di Dio parli un linguaggio così radicalmente umano: cosa c'è di più umano e di più materiale di un banchetto di nozze? Davvero poco spirituale questo Dio! Eh... sì, perché il Dio in cui diciamo di credere - lo dimentichiamo molto facilmente - si è fatto carne, cioè si è vestito del nostro abito, per condurre la nostra carne a vivere nell'eternità, offrendoci cioè il suo abito divino. Sì, ha dato una grande festa di nozze dal giorno in cui queste nozze hanno cominciato a consumarsi nel ventre di una donna di Nazaret. Davvero poco spirituale! Se per spirituale intendiamo evanescente, nebuloso, disincarnato... dell'altro mondo, come ci immaginiamo che sia dio. Ingannandoci.
Solo nell'umanità, nella carne di Gesù di Nazaret noi possiamo incontrare e riconoscere Dio e credere in Lui, cioè accogliere il suo invito a nozze e lasciarci vestire del suo amore: è Gesù stesso il nostro abito nuziale! Lui, lo sposo.
Nessuno di noi può procurarsi da solo questo abito: possiamo solo riceverlo e indossarlo. Quell'abito chiede di diventare la nostra stessa carne, perché così si compiono le nozze e la nostra stessa carne può diventare annuncio e testimonianza di un  amore così carico di vita!

                        Cristo sposo con Maria-Chiesa sposa, mosaico, S. Maria in Trastevere, Roma


Però quello che Gesù dice in questa parabola è anche così "poco umano"! Quando mai ai banchetti che organizziamo noi sono invitati tutti! Non c'è niente di più selettivo dei nostri banchetti: si tratti delle nostre feste familiari, o dei "banchetti" del potere, della politica, dell'economia, delle risorse naturali, del lavoro, dell'istruzione, della cultura, dell'educazione, dell'inserimento sociale.... Quanti restano fuori per mancanza di "requisiti giusti e spinte giuste"! Ecco la grande forza della speranza offerta dal Vangelo: al banchetto di Dio TUTTI SONO INVITATI! E questo è davvero "spirituale", davvero divino.

Certamente... per indossare un abito è necessario spogliarsi di un altro. E' ciò che Gesù ha fatto, come ci ricorda S. Paolo:



Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso
          assumendo una condizione di servo,
          diventando simile agli uomini.
          Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
          umiliò se stesso
         facendosi obbediente fino alla morte
         e a una morte di croce.
  (Fil 2,5-8)
E è proprio qui che nasce qualche problema: siamo anche disposti  ad accogliere l'invito di Dio; in fondo possiamo sempre aver bisogno di uno come lui!  Ma spogliarci di convinzioni, interessi, pregiudizi, orgoglio, egoismi, maschere, schiavitù idolatriche di vario tipo.... (non si finisce mai di spogliarsi!) per vestirsi di lui...
A pensarci bene, se noi ci stiamo, solo lui è capace di spogliarci per poi rivestirci. E non è una tantum.



"Ma Dio non è quello che, alla fine, lo sa come siamo fatti e accetta tutto?"
Uno così non è capace di amare e non è il Dio di Gesù Cristo, quello del Vangelo. Uno imperturbabile davanti al rifiuto dell'amore nuziale è solo la deformazione dell'uomo e di Dio inventata dal nostro peccato. Un Dio imperturbabile davanti al rifiuto del suo amore nuziale non potrebbe dare alcuna gioia e alcuna speranza: sarebbe per sempre confermato il banchetto succulento e truculento dei potenti e l'invidia rassegnata o violenta dei deboli.

E allora a che servirebbe chiamarci cristiani? Perché sprecare tanti segni di croce?
Il grido di Gesù vuole salvarci dalle tenebre, dal pianto e dallo stridore di denti.

martedì 4 ottobre 2011

PACE E BENE

Dagli Scritti di S. Francesco d'Assisi
Dal Testamento:
1 Il Signore dette a me, frate Francesco, d’inco­minciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi 2 e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi mi­sericordia. 3 E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

4 E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5 Ti ado­riamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

23 Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

LODI DI DIO ALTISSIMO


  1 Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose.
2 Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
3 Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero.
4 Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
5 Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia,
Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
7Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.


CANTICO DI FRATE SOLE


  1 Altissimu, onnipotente, bon Signore,Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
2 Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.
3 Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
4 Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
5 Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
6 Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
7 Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
8 Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
9 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
10 Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
12 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
13 guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.
4 Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.


SALUTO ALLA BEATA VERGINE MARIA


 1 Ave, Signora, santa regina
santa Madre di Dio, Maria
che sei vergine fatta Chiesa.
2 ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
3 tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia
e ogni bene.
4 Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
5 Ave, suo vestimento,
ave sua ancella,
ave sua Madre.

 6 E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate.


BENEDIZIONE A FRATE LEONE


 1 Il Signore ti benedica e ti custodisca, mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.
                2 Rivolga verso di te il suo sguardo e ti dia pace.
                3 Il Signore benedica te, frate Leone.

domenica 2 ottobre 2011

Cantico d'amore

Is 5,1-7
Mt 21,33-43

"La tua sposa come vite feconda
nell'intimità della tua casa"(Sal 128,3)
Quando il salmista ascoltava questa preghiera che lo Spirito sussurrava nel profondo del suo cuore di innamorato e di credente, forse contemplava la sua sposa e i suoi figli e godeva del loro amore e del suo amore per loro. Dovrebbe essere sempre dolce un canto d'amore!
Amaro, dell'amarezza dell'amore frainteso, abusato e deluso, era il sapore del canto che lo Spirito sussurrava nel cuore di Isaia: il canto d'amore di Dio per la sua sposa Israele, che egli aveva desiderato come vite feconda nell'intimità del suo cuore. Invece... a tanta tenerezza e cura Israele risponde con acini acerbi. Amata, non sa rispondere all'amore, non sa condividere l'amore: anziché giustizia, spargimento di sangue, anziché rettitudine, grida di oppressi! I capi, quelli che più conoscono la parola e le gesta d'amore di Dio, sono coloro che producono dolore e sangue, acini acerbi! Una sposa madre amata, che ferisce i suoi figli!
A quei capi, Gesù si rivolge continuando lo stesso doloroso cantico del profeta: la vigna-popolo è affidata alle cure di vignaioli che Dio sceglie, chiama. A loro consegna coloro che ama. Con quale fiducia e stima! La vigna dovrebbe riconoscere in loro l'amore e la tenerezza stessi di Lui. Questa vigna produce frutti per l'amato, ma vengono rubati dagli stessi vignaioli. Quando il Figlio sposo arriva, diventa vittima della peggiore violenza e ingiustizia! Il suo sangue si mescola al vino della vigna amata.
"Quando verrà dunque il padrone della vigna, cosa farà a quei contadini?" domanda Gesù.
Alle parole di Natan, che identificava il re Davide come colui che aveva rubato e ucciso l'unica pecora amata dal povero, lo stesso re - garante del rispetto della giustizia e incapace di riconoscere l'ingiustiza delle sue scelte violente - emetteva il verdetto di condanna a morte per il colpevole. "Tu sei quell'uomo!" sentenziò il profeta. E Davide pianse il suo peccato. E ottenne perdono.
Com'è difficile per ogni persona riconoscere la propria ingiustizia! Soprattutto com'è difficile per i capi! E com'è facile emettere sentenze di giustizia! Soprattutto per i capi!
E i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo emisero la sentenza davanti alla domanda di Gesù, convinti di dimostrare a questo fastidioso "maestro" la loro "giustizia", più giusta di Dio!
"Quei malvagi li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempo"
Gesù neppure considera la prima parte della sentenza, perché il Figlio muore miseramente per mano dei vignaioli, non i vignaioli. Dio non vuole la morte del peccatore, neppure quando si tratta dei capi di cui ha avuto fiducia, neppure quando condannano  alla croce suo Figlio!
La seconda parte della sentenza, invece, è giusta. Come Natan, però, Gesù è costretto a smascherare l'ipocrisia. "Voi siete quei contadini e a voi sarà tolta la vigna!". Ma c'è una sorpresa, inaspettata, impensabile! "La pietra scartata dai costruttori - i vignaioli ora sono ingegneri - è diventata la pietra d'angolo: questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi!".
Dio non uccide, neppure coloro che tradiscono la sua fiducia e attentano al bene del suo popolo. Dio, invece, risuscita il Figlio crocifisso e sepolto: è la lui la vera vite di cui si fa scempio! e con lui è violentata tutta la vigna. E' lui il grappolo violentemente spremuto dai vignaioli! E quel vino-sangue, da prova del delitto, diventa bevanda di salvezza per tutti, per quelli stessi che l'hanno spremuto, se vogliono accoglierlo, riconoscendo la colpa! Perché per la remissione dei peccati è versato quel sangue!
La meraviglia di un amore forse incompreso e deluso fino alla fine dei secoli, ma mai vinto. Una ineffabile speranza è consegnata a noi popolo di Dio e a ciascun credente, chiamato a portare frutto. E a coloro ai quali la vigna è affidata.
Ma la speranza chiama sempre a camminare, provoca sempre una verifica e una conversione. La pietra diventata testata d'angolo non è fatta dalle convinzioni assolute dei capi a cui la speranza sembra a volte compagna di cammino troppo fragile e povera. La pietra angolare, la roccia di salvezza è solo il Crocifisso Risorto che non teme di farsi compagno di cammino dei deboli e dei fragili e dei poveri e dei peccatori, mentre può diventare pericolosa pietra d'inciampo per chi confida in se stesso e forse in un ruolo sicuro...
Oggi, noi chiesa, ci inginocchiamo adoranti davanti al Risorto, mentre oggi ascoltiamo la sua Parola viva. E una domanda mormora nel cuore: a chi parli, oggi, Signore? A Israele!? Alla Chiesa?