mercoledì 25 dicembre 2013

Facevano la guardia al gregge

Caravaggio, Adorazione dei pastori

Natale del Signore Gesù
Lc 2,1-14

Quei pastori: stranezza del Natale! E la nostra abitudine sa superficialmente intenerirsi, senza stupirsi e interrogarsi.
Quei pastori! Dopo Maria e Giuseppe sono i primi a vedere "il Bambino nella mangiatoia" e - cosa ancora più strana - lo riconoscono!
Forse è proprio questo il mistero del Natale che ci sfugge, sostituito da tante chiacchiere ipocrite e vuote sulla bontà, da pallide lucine, da ingozzate di cibo che invano cercano di colmare il vuoto del cuore triste che finge allegria...

Tanta gente a messa, a mezzanotte, e tante gente attorno a tavole imbandite, e tanti turisti sulle piste di sci, e tanti regali.... e tanti poveri e tanto dolore e disperazione per il lavoro perduto, per l'impossibilità di pagare tasse che lievitano come sotto i poteri assoluti medievali... e tante famiglie divise che non sanno più cosa sia amore e accoglienza reciproca, perdono e riconciliazione e fedeltà e si dividono i figli come una preda... e tanti rancori, odi, violenze per i motivi più assordi e insensati....
E... "Auguri! Buone feste!....

Ma chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa.... Chi cerchiamo?
Occorre, - al più presto! - toglierci le bende dagli occhi, svegliarci dal sonno; vegliare e custodire...

Erano svegli, di notte, per custodire il loro gregge.
C'è qualcosa di divino in questi pastori: questi lavoratori assomigliano tanto a Colui che guida Israele come un gregge, il Signore (cf Sal 80,2)

Papa Francesco continua a chiedere che i pastori abbiano l'odore del gregge, cioè assomiglino al Signore che è nato in una stalla e appena ha aperto gli occhi a questo mondo, ha sentito l'odore del gregge e gli è restato addosso per sempre: il dono che ha avuto più caro. Lui, figlio di Davide, che era  pastore di greggi e che Dio aveva voluto trasformare in pastore di Israele.

Natale: è nato il nuovo, eterno, bel pastore di Israele e dell'umanità, di tutti noi. E i primi a ricevere l'annuncio, a crederci, a partire per cercare e vedere quel Bambino, i primi a riconoscerlo e adorarlo e annunciarlo sono loro: i pastori.

Jacopo Bassano, Annuncio ai pastori

Erano svegli per custodire il gregge: somigliano a quel Dio che custodisce Israele senza addormentarsi (cf Sal 121,4). E hanno potuto accorgersi, vedere la luce degli angeli, udire il canto della festa e l'annuncio della salvezza. Hanno potuto cercare il Bambino nella mangiatoia, perché si tratta di un ambiente che conoscono bene, la stalla; perché capiscono che è uno di loro. Lo possono riconoscere, perché hanno la sua stessa attitudine, il suo stesso impegno: vegliare per custodire il gregge. Non pascono e non custodiscono se stessi.
Come Lui, che è venuto come buon pastore a dare la vita per il gregge.

Se ci prendiamo cura solo di noi stessi, un bambino che nasce è un problema, un incomodo; ci possiamo anche commuovere per un attimo, ma poi ... abbiamo da fare altro!
Se ci prendiamo cura solo di noi stessi, mentre siamo chiamati tutti ad essere pastori di qualcun altro, siamo ciechi e sordi: non ci raggiunge alcuna buona notizia, alcuna gioia, non ci può raggiungere nessun Evangelo! 
Gli angeli andranno altrove a cercare poveri pastori che, di notte - quanta notte ci avvolge con i suoi pericoli! - vegliano per custodire il loro gregge. E una miriade di angeli li raggiungono per annunciare:
Oggi è nato per voi un salvatore: Cristo Signore! 





domenica 22 dicembre 2013

Silenzio amante



Quarta domenica di Avvento  A
Is 7,10-14
Sal 23
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24

Penso a Giuseppe, meglio: lo osservo. Lui tace. Nel silenzio contemplo Giuseppe. Mentre cerca nella legge - Parola di Dio - una luce e un'indicazione. In silenzio. Se il mistero non ci riduce al silenzio... siamo ancora uomini e donne?
Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose,
e la notte era a metà del suo rapido corso (Sap 18,14)
una domanda urge nel cuore di questo uomo giusto, che non vuole rinunciare ad amare, che vuole ancora credere, che non cerca di soddisfare l'orgoglio naturale, non vuole cedere allo sconforto, alla disillusione amara, al rancore, a una giustizia che sa di vendetta... 
Il suo cuore è un deserto assetato e buio: 
"Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?".
La sentinella risponde:
"Viene il mattino, poi anche la notte,
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!" (Is 21,11-12).
E' giusto e dignitoso, umano, domandare, cercare la luce che disseti il cuore riarso e amaro; domandare felicità e pace. Occorre solo conversione per ricevere risposta. Conversione a Colui che parla e illumina e disseta, mentre chiede la vita e dona risurrezione.

Domenico Guidi, Sogno di San Giuseppe, Roma, Chiesa S. Maria della Vittoria

"Non temere, Giuseppe..." nel silenzio può risuonare la Voce. E' la prima conversione di questo sposo a cui è chiesto di sacrificare, nell'amore, la vita, il sangue e la carne. La prima conversione è stare disarmato - nel sonno - davanti al Verbo della Vita. L'altra conversione è il coraggio di sognare, di credere al sogno, di non  temere: il bambino di Maria, sua sposa, viene da Dio, che vuole consegnare a lui, Giuseppe, la ricchezza della sua Casa. Ultima conversione - quella che durerà tutta la vita: obbedire, ascoltare dal basso della propria umanità sacrificata la Voce dall'alto che lo rende vivo di una vita donata e per questo risorto in un amore totale. 
E la gioia senza prezzo della Croce comincia a fluire nel cuore giusto, silenzioso, amante dello sposo di Maria, Giuseppe di Nazaret, discendente regale. Custode paterno del Figlio di Dio, unico Re, che egli chiamerà Gesù, perché salverà il suo popolo dai suoi peccati.

"Grazie, Giuseppe" mormora l'angelo, a nome di Dio. Ma forse tu  non lo senti, perché la Parola scroscia, come acqua e sangue, nel tuo cuore silenzioso e lo colma di pace, perché solo così sei sposo e padre, dando la vita per amore.

domenica 24 novembre 2013

Quale re?

2Sam 5,1-3
Sl 121
Col 1,12-20
Lc 23,35-43

Questo qui: quello crocifisso tra due malfattori.
E' lì, crocifisso, non perché abbia commesso qualche grave colpa, ma perché loro, i malfattori, sono sue ossa e sua carne.
Così dissero le tribù di Israele a Davide, quando lo proclamarono re. Questo deve essere un re: stesse ossa e stessa carne con il suo popolo.
Come l'uomo e la donna: Essa è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne (Gn 2, 23).
Noi, malfattori, noi umanità peccatrice, noi chiesa di peccatori, siamo la sposa e dov'è la sposa è anche lo sposo: il Cristo crocifisso.
E' crocifisso come un malfattore, tra malfattori, perché ha scelto di diventare nostra carne e nostre ossa. Ha scelto di essere nostro re. Sulla sua croce è scritta la verità, il motivo della sua condanna: Costui è il re dei Giudei.

I capi lo deridono, i soldati lo deridono, anche uno di quelli che condividono la sua sorte lo deride. E il popolo sta a guardare. E' difficile trovare un posto dove collocarsi per "guardare" questo crocifisso. Un posto di cui non vergognarsi. Un posto dal quale avere una buona visuale, quella giusta, quella che possa permettere di capire che cosa accade, chi è quel crocifisso. 

Quella scritta induce certamente alla derisione. Come si può chiamare re un crocifisso?
E si era anche presentato come Cristo, Messia, l'Inviato da Dio, addirittura Figlio di Dio. Aveva salvato altri, perché ora non salva se stesso? 
Si può guardare con curiosità, con meraviglia, con dolore, con compassione, con sufficienza, con delusione. Alla fine forse non resta che deridere...  Ma... qual è il posto giusto per vedere chi è quel crocifisso?

Poi è la vita stessa che mi mette all'unico posto giusto. Mi trovo a occupare tanti posti, giorno per giorno, ma il più delle volte sono posti non giusti, non veri, non puliti, oscuri, sbagliati...  Poi, senza volerlo, anzi avendo fatto di tutto per evitarlo, mi ritrovo al posto giusto: sulla croce, proprio vicino a quel crocifisso.
Ma il posto giusto non basta, bisogna che, grazie a quel posto - così scomodo! - riesca ad ascoltare il mio cuore e veda me e lui, la colpa e l'innocenza, il peccatore senza terra - errante - e il re che morendo apre la via al suo regno di vita.
"Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!"
"Oggi sarai come in paradiso".

Occorre solo tacere, davanti a questa meraviglia, a questo mistero di amore, di verità!

"Come molti si stupirono di lui
- tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto  
e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -
così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, 
perché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito"  (Is 52,14-15)

I re devono chiudersi la bocca, per lo stupore. E devono restare sconvolti nel comprendere cosa significa essere re: essere ossa e carne del popolo che devono servire e non dal quale devono essere serviti; essere pastore che pasce il popolo e non che si pasce del popolo; essere libero di amare e curare i più deboli, i poveri, gli ultimi, i malati, i bambini e non essere schiavo dei consensi dei potenti o delle pretese dei prepotenti. L'unico re libero - l'unico re - è quello crocifisso, che sacrifica se stesso per amare e salvare - non se stesso - ma coloro dei quali condivide la tribolazione, l'umiliazione, il dolore, la condanna.

E so che questo re crocifisso non è un segno, una luce, un monito, un grido solo per la coscienza dei governanti e dei potenti della terra. Lo è per tutti coloro che, nella società e nella chiesa, nelle famiglie e negli istituti di vita consacrata, hanno - o credono di avere - un qualche ruolo, un titolo, una responsabilità, un consenso, una stima, un riconoscimento, un incarico, un posto più in vista... per tutti coloro che sono piccoli re.
E' un grido per me - anch'io in qualche modo e in qualche cosa mi ritengo re.
Il grido del crocifisso raccoglie il grido silenzioso di tutti coloro che non valgono, che non hanno posti, ruoli, consensi; il grido silenzioso di tutti coloro che proprio con il loro essere deboli e silenziosi, stanchi e malati, inutili, disturbano terribilmente il mio bisogno di non essere disturbata; il mio bisogno di conservare l'immagine che mi regalo ogni momento.
Il mio bisogno di dimenticare che la croce è il mio giusto posto, che ho meritato, non solo perché sono colpevole, ma anche inutile.  Come i tanti che facilmente dimentico... o uso! 



mercoledì 28 agosto 2013

Beatitudine dell'ignoranza e della sete



 Dipende da come si percepisce la realtà. E noi siamo bravissimi a illuderci, a raccontarci menzogne e a crederci!
Da sabato scorso, oggi è il quarto giorno che nella Liturgia ci vengono proposti brani del Vangelo di Matteo in cui Gesù grida "Guai a voi!" agli ipocriti, cioè a coloro che si percepiscono maestri, sapienti. Insomma, Gesù grida "Guai a voi!" a quelli che non hanno niente da imparare, a quelli che chiudono gli occhi sulla loro ignoranza e si precludono la possibilità di esserne liberati, la possibilità di accedere alla luce, alla sapienza, alla libertà, all'amore. Tutto questo è tragico, perché Dio si è fatto uomo proprio per donarci tutto questo: la sua luce, la sua sapienza, la sua libertà, il suo amore. Tutto questo è vera felicità. Per questo grida "Guai a voi!". Quale guaio più grande che restare volontariamente e ipocritamente - quindi colpevolmente! - nelle tenebre della stoltezza e dell'insipienza, e nella prigione dell'egoismo?

Oggi la Chiesa fa memoria del grande Agostino: il grande esperto nella ricerca della Luce e dell'Amore; colui che ha lottato per arrivare a scoprire la propria ignoranza, lui, il grande retore, il grande professore!
Grotte di Castelcivita (SA)

Prima di Gesù, Socrate insegnò che l'unica sapienza è arrivare alla consapevolezza della propria ignoranza. Agostino lottò per prendere consapevolezza della propria sete.

Quando Gesù dice: "Beati i poveri in spirito" credo che stia dicendo "Beato chi sa di non sapere". E penso alla donna di Samaria che andò a prendere acqua al pozzo, incontrando Gesù: beata lei che aveva sete e trovò in Lui l'acqua che disseta per la vita eterna!

C'è una pagina commovente ed entusiasmante dei Vangeli: Gesù danza di gioia come un bambino e canta al Padre la sua lode, perché dona la sua sapienza ai semplici, cioè a coloro che sanno di aver bisogno di sapienza, di conoscenza, di luce. E un'altra pagina straordinariamente commovente è quella in cui Gesù abbraccia un bambino e dice che occorre diventare bambini per entrare nel Regno. Mi sono sempre chiesta: "chi è il bambino?".
Il bambino è quello che chiede sempre "cos'è?" e - con insistenza esasperante - "perché?".
Il bambino è quello che grida quando ha fame e sete. 
Il bambino è quello che semplicemente risponde all'insaziabile sete di conoscenza e al vitale bisogno di alimentazione, chiedendo a chi può dargli ciò di cui non può fare  a meno.

Il bambino è l'icona più limpida della beatitudine dell'ignoranza e della sete. Questa beatitudine - beati i poveri in spirito - è la condizione indispensabile per essere VIVI, cioè sapienti, liberi, amanti.

Che tristezza scoprire come sappiamo sempre ridurre la Parola, che è Luce, a precetti morali. E' quanto fecero gli antichi scribi e farisei e restarono prigionieri di se stessi, della loro stupida e colpevole ignoranza.

Già, ci sono due tipi di ignoranza: quella intelligente, di chi sa di essere ignorante, sa di aver bisogno di cercare, di conoscere, di imparare. Solo chi sa di essere ignorante cerca un Maestro, una Guida, solo chi sa di essere ignorante si dispone allo studio, alla ricerca, all'incontro, alla Luce e dunque all'Amore, che è la perfezione di ogni conoscenza.

C'è, invece, l'ignoranza stupida e superba, mascherata, ipocrita, colpevole. Quella contro cui Gesù grida i suoi "Guai a voi!". Quella che impedisce di entrare nel Regno della Luce.
Guai a noi se riduciamo il Bell'Annuncio - l'Evangelo - a dei moralismi: continuiamo a crocifiggere la Parola, il Cristo.
Non si tratta solo di imparare il catechismo! Non si tratta di sapere le preghiere e andare a messa!

Chi si chiude in se stesso e gli basta, chi si accontenta di un pezzo di carta per trovare un lavoro, chi non si guarda mai oltre  quei pochi metri che sottostanno ai suoi occhi, chi ha paura di scoprire che c'è qualcosa di bello che ancora non ha visto, chi si annoia davanti alla meraviglia della natura fino a trovare divertimento nel deturparla, chi si ostina  a nascondere la propria ignoranza e la propria sete di vita, credendo di potersi alimentare di cose e di soldi e di titoli, chi si accontenta di stare comodo senza cercare più niente di meglio, chi si abitua al buio - in ogni campo - e non sa più che esiste la luce, chi uccide la curiosità dicendosi che ormai ha visto tutto, chi non si chiede più "cos'è?" e "perché?", è già morto e si illude di vivere.

Perciò davanti a costoro Gesù continua a gridare "Guai a voi!". Non è una minaccia, è un grido di dolore! Un avvertimento.

Chi solleverà la pietra della tomba se non l'Evangelo della Luce, della Bellezza, della Conoscenza, della Meraviglia sapiente?

















domenica 25 agosto 2013

La porta di Bethlehem


Bethlehem, Ingresso della Basilica della Natività


Il Vangelo di questa XXI Domenica del Tempo Ordinario mi fa pensare alla porta di ingresso della Basilica della Natività a Bethlehem.
Chiedono a Gesù quanti sono quelli che si salvano. Ma Lui non è interessato a questo, piuttosto si preoccupa di educare i suoi discepoli ad entrare nella porta che conduce alla Vita. Una porta che è aperta a tutti; una porta disposta a ricevere uomini e donne provenienti da ogni angolo della terra, dai quattro punti cardinali. Una porta chiusa solo per coloro che non sapranno conformarsi ad essa.

Quando si arriva a Bethlehem, nella piazza della Basilica della Natività, è sconcertante la misura della porta: è alta un metro e mezzo, larga forse un metro. Anticamente era alta più di cinque metri e c'erano altri due ingressi, che poi furono murati. Pare che tutto questo sia avvenuto per difendere il luogo sacro e per impedire che si entrasse con i cavalli nella Basilica. A ma pare che quella piccola porta dica molto di più.
Bisogna chinarsi per entrare, bisogna adattarsi alla sua misura. Là dove Dio si è fatto Bambino, prendendo la carne umana, ogni carne umana deve rendersi piccola come un bambino. Quel Bambino è la Porta del cielo. Gesù adulto dice: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Per entrare nella Vita, per essere in comunione vera con Dio, occorre entrare in Gesù, dimorare in Lui e lasciare che Egli dimori in noi, occorre conformarsi a Lui: avere il suo pensiero e i suoi sentimenti, secondo S. Paolo.
La porta di Bethlehem costringe chi vuole entrare a diventare piccolo, come piccolo è l'Emmanuele, il Dio con noi, Gesù, che è entrato nel mondo attraverso la piccola porta del seno di Maria. Per essere in comunione con un Dio che si fa piccolo, occorre diventare piccoli: "Se non diventate come bambini, non entrerete nel Regno".



Gerusalemme, Ingresso del Santo Sepolcro nella Basilica della Risurrezione

 
Anche l'ingresso al Santo Sepolcro è stretto e basso, anche per entrare lì occorre farsi piccoli. A me sembra che anche questo sia un segno, richiami quella porta di cui Gesù parla, quella dove entreranno più facilmente gli ultimi, quelli che il mondo considera piccoli, soprattutto quelli che considerano se stessi piccoli, come il Figlio di Dio fatto Figlio di Maria, la piccola donna di Nazareth, colei che dice di sé: "Dio ha guardato la piccolezza della sua serva".

La porta stretta a cui occorre conformarsi è il Mistero Pasquale: la morte di croce e la risurrezione, l'unica potenza che può salvare tutti, così piccola e debole che di fatto salva solo coloro che decidono di lasciarsi salvare. I grandi che credono di salvarsi per i loro meriti, per la loro forza, per la loro giustizia, non riusciranno a entrare.
La porta stretta è il Mistero Pasquale che la chiesa celebra nell'Eucaristia: diventare una sola carne con il Corpo spezzato e il Sangue versato del Salvatore significa prendere la sua forma.
E dunque, ancora in questa domenica, la Parola ci incoraggia alla lotta: non è possibile, dentro la cultura della forza, del potere e della prepotenza, della superiorità e della grandezza ostentata in tutti i modi, anche i più meschini e sciocchi, non è possibile conformarsi alla piccolezza e alla debolezza di Dio Amore, senza una terribile e costante lotta. Una lotta nella quale, però, non siamo soli, perché il Salvatore ha lottato per noi e con noi continua a lottare, offrendo il suo Pane  e il suo Vino.

La misericordia è la porta stretta in cui occorre entrare: la misericordia di Dio è una porta aperta ai quattro angoli della terra, ma per noi, conformarci ad essa - diventare cioè misericordiosi - è la porta stretta, come lo è stato per Gesù: è il Mistero Pasquale.



domenica 18 agosto 2013

Palestra senza vacanza



Già... nell'inquietudine la pace. Il Vangelo e la Parola di Dio in generale ci appaiono pieni di contraddizioni.... cioè la Verità contraddice le nostre illusioni.

Nella solennità dell'Assunzione di Maria, papa Francesco ha fatto emergere dalla contemplazione della Parola di Dio tre parole che sono esperienze vere di vita: lotta, risurrezione, speranza.
E in questa estate, mentre cerchiamo di fare vacanza, in qualche modo, la Parola, anche in questa domenica, ci riconduce in palestra, ci rimette davanti alla realtà della vita che è vera solo nella perseveranza della corsa, alimentata dal desiderio ardente che è passione d'amore per il Bene. E' vera solo nella lotta quotidiana contro ogni forma di male, di ingiustizia, a cominciare dall'egoismo, che è anzitutto ingiustizia verso se stessi e quindi verso gli altri. E' vera solo se concimata dall'attesa impegnata, che è speranza con il volto del servizio, della solidarietà, della comunione.

E tutto questo allenamento è possibile solo tenendo lo sguardo fisso su Gesù, principio, causa e compimento della fede, Uomo bruciato dalla passione d'amore per i suoi fratelli e sorelle, con i quali intende condividere la sua vita di Dio che scende a immergersi nella sofferenza e nella morte che li ghermisce e li inghiotte.

Geremia profeta, straordinaria immagine del messia perseguitato perché solidale con il destino tragico del suo popolo, viene salvato da un Etiope, uno straniero più saggio e coraggioso del re e più onesto dei fedeli di Israele che credono di dovere e potere difendere i diritti di Dio e del suo tempio e del suo popolo. Chiudendo gli occhi sulla Verità, pur di non perdere le loro illusioni di grandezza e di privilegi.

Chiunque, anche se lo fa o crede di doverlo fare in nome di Dio, si pone in posizione di separazione, di distanza, di privilegio; chiunque crede, perché si sa amato e scelto da Dio, di potersi esonerare dai pesi e dalla fatica e dagli obblighi che gravano su tutti i sui fratelli e sorelle, sta facendo, forse in nome di Gesù, il contrario di ciò che Gesù ha amato, desiderato, compiuto fino all'estremo: essere in tutto simile a ogni uomo e ogni donna che deve quotidianamente affrontare la vita nella limitatezza della carne, nel lavoro, nella sottomissione alla legge, nella lotta per la giustizia a costo di incomprensioni e persecuzioni, nel rifiuto di ogni privilegio compresa l'esenzione dalle tasse, nella povertà di ogni riconoscimento e successo. Nel dolore e nella morte. Nella contraddizione, nella ricerca, nel fuoco del desiderio, nell'angoscia dell'attesa, nella speranza della risurrezione. 
Senza vacanze. Ma nella pace del cuore che viene dal Suo abitare in noi e dal nostro abitare in Lui.





lunedì 12 agosto 2013

Inquietante

Per fede.
Nel brano della Lettera agli Ebrei ( 11,1-2.8-19) che la Liturgia di ieri ci ha fatto ascoltare, questa breve espressione ci è stata ripetuta come un ritornello. Cinque volte.
E si narra che cosa alcuni personaggi - che noi chiamiamo padri e madri nella fede - hanno concretamente vissuto. Non si parla della fede come di un insieme di concetti, di dogmi, di idee. La fede di costoro - fede in Dio - è fatta di terra, di abitazioni, di partenze e di viaggi, di carne e sangue: la nascita di un figlio, l'offerta di un figlio, la promessa di una discendenza numerosa.
Per fede.
E da due giorni mi risuona dentro una domanda inquietante: ma che cos'è questa fede?
E in questa pagina della lettera agli Ebrei cerco una luce: e scopro un viaggio, un'attesa, una ricerca, una lotta. Una fiducia contro ogni umana smentita. Questa è la lotta.
La lotta di Abramo nell'incontrare un Dio oltre ogni immaginazione, oltre ogni idea di dio che un uomo possa farsi. La lotta di un ascolto che scava le profondità di un cuore umano. La lotta di un silenzio. La lotta di un amore. Che diventa speranza. Perché non può esserci separazione tra fede speranza amore. Come non c'è separazione tra Padre Figlio Spirito Santo.
La lotta che conduce a viaggiare seguendo una guida, una stella nella notte, una parola nel silenzio, che richiede impegno, ricerca, fatica, ma soprattutto fiducia, consegna. Per imparare che non sono io l'Autore del Progetto, il Padre della Vita, la Forza del Cammino, ma PER FEDE mi è dato di condividerne la responsabilità, la gioia della fecondità, l'accoglienza del frutto, la sublime paternità e maternità del dono.

La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.
Forse vuol dire che il senso della vita non è nell'afferrare ma nel ricevere, non nel dogma ma nella ricerca, non nell'autonomia, ma nella comunione.
E scopro che la fragilità della fede può avere la solidità della roccia. Nel timore può abitare la speranza. Nella solitudine l'amore. Nella lotta la gioia. Nell'inquietudine la pace.



lunedì 17 giugno 2013

Le nacchere e la tammorra

Conosceva il dolore, Maria, perciò la sua gioia e la sua vivacità valevano di più. E la sua fede, la sua totale fiduciosa consegna a Dio erano sorprendenti.
Minuta e tutto pepe, una donna semplice, che parlava quasi sempre in dialetto. Conosceva tutti, perché aveva avuto un bar, e perciò salutava tutti quelli che incontrava e aveva sempre una parola positiva, simpatica, arguta. E amava cantare. Un conoscente mi raccontava di quando, sotto il sole cocente, raccoglieva i pomodori cantando.
Amava organizzare pellegrinaggi, soprattutto alla Madonna di Montevergine e in quelle occasioni rallegrava i pellegrini cantando e ballando con le nacchere e la tammorra.

Maria danza con le nacchere...



... e canta, in pullman, durante un pellegrinaggio a Roma

Immancabile la sua presenza e la sua esibizione canora e danzante alla festa di S. Antonio Abate, della Madonna del Buon Consiglio, del Santuario di Gesù Bambino. Brillante, insuperabilmente simpatica.
Era vedova, Maria e aveva visto morire un figlio. Ma non risuonavano lamenti sulla sua bocca. Non mancava alla preghiera, alla messa, ad altre celebrazioni e manifestazioni religiose.
Qualche anno fa era comparsa una brutta malattia. L'aveva affrontata con una fiducia assoluta nel Signore e nella Madonna e con un grande coraggio. Tornata dall'ospedale, a chi le chiedeva come stesse, rispondeva: "La Madonna mi ha guarita! Ringrazio il Signore". Sempre sorridente.


Durante un incontro di preghiera in una famiglia, lo scorso mese di aprile.


Ultimamente, la malattia è ricomparsa. Ma lei continuava a sorridere: "Non sto bene, ho dei fastidi, ma il Signore mi aiuterà anche stavolta". E cantava alla celebrazione eucaristica in casa del  fratello, durante la "peregrinatio" della Madonna del Buon Consiglio, nel mese di maggio.
Pochi giorni in ospedale e la situazione è precipitata. Giovedì notte, le ultime ore della sua sofferenza. A chi la assisteva ha detto: "Datemi la mia corona, diciamo il rosario"; e hanno cominciato a pregare. E ha anche cantato qualche canto religioso. Quando me lo hanno raccontato, ho pensato a S. Francesco d'Assisi, che è morto cantando. In piena notte, è andata incontro alla luce. Ha raggiunto il marito e il figlio nella Casa di quel Signore in cui ha sperato.
Al funerale, la chiesa non conteneva i tanti familiari, parenti, amici, conoscenti. A nome di tutti, il Parroco ha ringraziato Maria per la sua testimonianza di fede gioiosa, per la sua amicizia e il suo calore umano.
Una donna speciale, Maria. E speciale è stato il suo funerale, concluso con la tammurriata e le campane che suonavano a festa.
Questa piccola grande donna è stata un dono, per quanti abbiamo avuto la grazia di conoscerla. Ora la ricordiamo con commozione, mentre la pensiamo impegnata a cantare e danzare la gioia e l'amore di Dio con gli angeli e i santi. Sicuramente la tammorra è arrivata in paradiso.



venerdì 7 giugno 2013

Donna del Sacro Cuore


Tempo fa, ho ritrovato tra le carte di mio padre il testamento di nonno, scritto e firmato da lui e firmato con una croce da nonna. Nonno si esprime così (non è una citazione letterale, ma assolutamente fedele): Mia moglie e io vogliamo che la proprietà sia divisa in parti uguali tra maschi e femmine, perché siete tutti nostri figli.
All'epoca, la legge "difendeva" i diritti delle figlie obbligando il genitore a lasciare loro un minimo di proprietà (la cosiddetta legittima) impedendo che tutto finisse unicamente in mano i maschi.
Mi sono commossa nel constatare come mio nonno considerasse sua moglie e le sue figlie, allora, settanta, ottanta anni fa.
E ho capito che mio padre aveva imparato da lui a trattare la famiglia: moglie e due figlie.
Condivisione e corresponsabilità in una profonda comunione di amore. Credo si possa descrivere così la mia famiglia. Una comunione fondata sul rispetto reciproco della dignità e della libertà di ciascuno. Naturalmente tutto questo era "arato e fecondato" dal dialogo e da... lunghe discussioni. E noi figlie - donne - abbiamo scelto l'indirizzo di studio fin dalla scuola media, associazioni e gruppi e amicizie da frequentare tenendo conto dei valori positivi trasmessi dai genitori. Siamo sempre andate a gite, campi estivi, feste tra amici. Certo, essendo donne e giovani, non si può dimenticare che si corrono certi rischi - questa è la realtà, per quanto ingiusta! - allora eravamo d'accordo con babbo che, se la festa si fosse conclusa in ora troppo tarda, avremmo chiamato lui che sarebbe venuto a prenderci.
E' sempre stato scontato, per noi,  non solo dialogare, ma anche discutere con nostro padre, tanto che una volta una parente disse: "Ma non si discute con il padre!". Babbo rispose: "Come non si discute! E' importante discutere con le figlie, così loro sanno come la penso io ma anch'io so come la pensano loro, e poi troviamo un accordo". Infatti, riguardo alla mia scelta di appartenere alla Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, la discussione durò un anno e mezzo, fu molto dura, ma alla fine i miei compresero e apprezzarono e gioirono. E ancora ringrazio il Signore per quel tempo di discussione, perché non è servito solo a convincere i miei genitori, ma a rendere solida la mia risposta a una vocazione.
Insomma, in casa mia, non ho avuto mai modo di sospettare che essere donna significasse una "diversità limitante", che essere donna imponesse stare un passo indietro rispetto a certe possibilità e a certi ambienti.

A diciassette anni fui invitata dai sacerdoti della mia parrocchia a fare catechismo ai bambini. Accettai, con sorpresa e con qualche perplessità, ma anche con gioia. Mi ritrovai coinvolta in un'esperienza di crescita nel cammino di fede, di relazioni nuove, di appassionato servizio  ecclesiale. Due mesi dopo mi fu chiesto di commentare il Vangelo nella messa di una sera della novena dell'Immacolata; la chiesa era piena di gente. E pensare che il parroco e il viceparroco erano bravissimi a tenere le omelie! Due anni dopo la cosa si ripetette, mentre ad animare la novena c'erano le missionarie del Sacro Cuore, che avevano già animato anche la missione parrocchiale e la gente era stata conquistata dai loro commenti alla Parola, nei centri di ascolto nelle case e nelle omelie durante le messe in chiesa.
Quando, per le vie che solo la Provvidenza inventa, con mia sorella e un'amica ci lasciammo conquistare dal progetto Azione Cattolica dei Ragazzi e ci mettemmo a disposizione della diocesi, ricevemmo la stima e il sostegno del Vescovo Radicioni che ci affidò il "reimpianto" dell'ACR in diocesi, chiamando mia sorella diciannovenne a parlare ai sacerdoti - con grave disagio e disappunto di alcuni di loro.

RUPNIK, Crocifissione, Capiago, Casa Incontri Cristiani

E arrivai nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, e subito fui inserita nel gruppo che animava le missioni popolari: il 6 agosto 1982 arrivai, il 6 novembre successivo ero alla prima missione. Da allora ho partecipato a più di cento missioni oltre che ad altre numerose iniziative di evangelizzazione e spiritualità. Nel frattempo, oltre alla formazione per la consacrazione, mi è stato dato il dono incomparabile della formazione teologica: allo Studio Teologico Antoniano di Bologna e alla Pontificia Università Salesiana a Roma.

Oggi, festa del Sacro Cuore, ringrazio l'Amore di Dio incarnato in Gesù per avermi conquistata da quando ero piccolissima alla sua Parola e alla sua Chiesa, attraverso la fede vissuta dai miei nonni, dai miei genitori e zii, dai sacerdoti che hanno saputo indicarmi la Via, con la loro vita dedicata a Dio e al suo popolo. Ciò che veramente mi ha fatto crescere e anche permesso di comprendere la mia vocazione è stata soprattutto la stima e la fiducia che da loro ho ricevuto. Ringrazio l'Amore di Dio che mi ha dato di "vivere" la Pentecoste del Concilio Vaticano II, scoprendo che, nella Chiesa-Mistero di Comunione-Sposa di Cristo-Serva del Vangelo per il mondo, io donna battezzata e laica - con tutto il popolo di Dio - sono investita della profezia, del sacerdozio e della regalità di Cristo. La missione di evangelizzazione è dono e responsabilità che quotidianamente ricevo unicamente dalla Trinità, nell'acqua e nel sangue - vita della Chiesa - che sgorgano dal Cuore di Cristo.

Per tutti i pastori che hanno condiviso e condividono con la Compagnia Missionaria il loro compito di cercare le pecore, accoglierle, raggiungerle con il lieto annuncio del Vangelo; per tutti i pastori che mi hanno affidato l'accompagnamento e la formazione cristiana di ragazzi e giovani e fidanzati e sposi; per i vescovi che mi hanno fatta sentire sorella e figlia; per i sacerdoti con i quali ho potuto intessere con semplicità e libertà un dialogo spirituale fatto di confidenza, verità, consigli, discernimento e aiuto reciproco; per quelli con i quali ho condiviso e condivido la passione per il Regno: lode a te, Cuore di Cristo, fonte di scienza, sapienza e santità; benedicili e santificali.

Negli ultimi anni ho dovuto, con dolorosa sorpresa, accorgermi che il mio essere donna, consapevole della sua vocazione e missione nella chiesa e irrimediabilmente coinvolta nella passione evangelizzatrice, infastidisce, quasi spaventa o scandalizza alcuni sacerdoti. A cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, mi chiedo quale comprensione abbiano del loro ministero, della vocazione e missione dei laici, della missione della Chiesa. In questo tempo in cui ci è dato il segno semplicemente luminoso di Francesco, Vescovo di Roma, invoco dal Cuore di Cristo la misericordia e la forza liberante dello Spirito per certi pastori timorosi, che rischiano,  dolorosamente, di perdere alcune - o tante?- pecore.

Il Cuore di Cristo, squarciato dall'Amore, ci liberi tutti, per quell'ineffabile mistero dell'incarnazione che culmina inevitabilmente nello "scandalo" della Croce. Ci liberi dai bisogni mai sopiti di restaurare i recinti protetti del sacro e i ghetti periferici del profano, per difendere e solennizzare la dignità di pochi e ignorare quella di molti. Il Cuore di Cristo ci converta tutti in profeti dell'amore e servitori della riconciliazione, donne e uomini, fratelli e sorelle perché figli nell'Unigenito Figlio, Unico Salvatore, Vera Gioia.



domenica 2 giugno 2013

Lo scandalo continua

TABGA, Israele. Mosaico e altare sul luogo dove la tradizione colloca la moltiplicazione dei pani e dei pesci.




Si scandalizzarono di Gesù, quando, dopo averli sfamati di pane e pesci, parlò di se stesso come Pane di vita, annunciando che avrebbe dato il suo corpo e il suo sangue come vero cibo e vera bevanda. Veramente Gesù usò parole scandalose, quella volta.... anzi.... il suo Vangelo continua a ripeterle, per questo si è cercato di "ammorbidirle, addomesticarle".

"Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,54). Da brivido! Anzi, da scandalo!
No, non si può dire così, quindi la traduzione addomesticata, visto che non si riesce a renderla proprio delicata: "Chi mangia....". Però questo "bere il sangue" è proprio ... come?
Allora si è addomesticata, resa  delicata - per quanto possibile - la liturgia: il pane è diventato un'ostia sottilissima, che si scioglie in bocca e il vino è complicato darlo e lo beve solo il celebrante. Se proprio si vuole dare, basta intingere la sottilissima ostia nel vino e tutto si scioglie più in fretta: fai solo finta di masticare e di bere. Tanto è un segno. Dio è presente oltre il segno. Infatti, per secoli si è impedito alla gente, troppo indegna e peccatrice, di mangiare alla mensa del Signore e si è insegnato a fare la "comunione spirituale", cioè una preghiera e una buona intenzione.
E la gente ha imparato ad andare a messa senza fare la comunione. Oppure a fare la comunione senza partecipare alla celebrazione, o "presenziando" solo in parte. Si fa la comunione per il morto, è un segno di amore al morto, anche se non si va mai a messa e magari non si ha neanche fede. Poi si fa la comunione per accompagnare il bambino alla prima comunione, per non farlo essere diverso dagli altri.
La prima comunione poi è una festa importantissima per i bambini, una specie di iniziazione sociale. Un problema molto impegnativo per le famiglie: ore di preparazione dal parrucchiere, con relativa spesa, per acconciature da vip su bambni e bambine; due abiti, con relativa spesa, uno per la chiesa e uno per il ristorante; il ristorante, poi!, costringe a fare i turni per le prime comunioni, perché le quattro e cinque stelle - non ce ne sono poi tantissimi - non possono ricevere tutti nello stesso giorno; e l'album fotografico che non ha nulla da invidiare a quello del matrimonio; e le acconciature e gli abiti "straordinari" delle mamme, eccessivi in tutto: lunghezza, scollature, colori, stravaganze; e il mezzo di trasporto per raggiungere la chiesa e poi il ristorante: ho visto anche carrozze da cenerentola\principessa.
Ma è una festa molto impegnativa anche per le comunità ecclesiali: addobbi e riti e segni che si moltiplicano, perché i bambini abbiano un ricordo straordinario di questa - nella maggior parte dei casi "unica" - comunione. Si fanno mille gesti e segni, durante la celebrazione, mentre bisogna fare sempre attenzione alle esigenze del fotografo. In mezzo al tutto c'è anche il momento in cui si riceve un'ostia intinta nel vino. Quando, finalmente, finisce la lunga celebrazione, si va a fare festa al ristorante con tanto di musica e danze.

Dentro di me si moltiplicano le domande, in particolare in questo giorno solennità del Corpo e del Sangue del Signore.
Con due anni di catechesi per preparare la prima comunione, a quale eucaristia della chiesa vengono educati bambini e famiglie? come possono i pastori accettare certi comportamenti e inventarsene altri che alla fine "nascondono" l'eucaristia? e il popolo di Dio... a cosa è ridotto?
ma che cos'è l'eucaristia? che ne facciamo? un rito che significa tutt'altro? stiamo celebrando la morte e risurrezione del Signore? che c'entra l'eucaristia con la chiesa? cosa volevano dire i padri conciliari dichiarando che la chiesa fa l'eucaristia e l'eucaristia fa la chiesa?
dov'è il pane che Gesù ha spezzato, dandolo come sua carne sacrificata per la vita del mondo? dov'è la chiesa corpo di Cristo che genera l'eucaristia ed è  generata dall'eucaristia? che ne abbiamo fatto del mistero dell'incarnazione che culmina nel mistero pasquale?
quali maschere mettiamo al corpo e al sangue del Signore crocifisso e risorto, per non restare troppo turbati come i giudei, per non lasciarci troppo coinvolgere, come i discepoli che non volevano disturbarsi a dar da mangiare alla folla? ci scandalizza l'eucaristia, quella vera come l'ha pensata e voluta la misericordia geniale di Dio, in Gesù? ci disturba e perciò la addomestichiamo, la rendiamo un fatto sociale, ma la defraudiamo della carne della Chiesa che è il corpo di Cristo? per questo l'abbiamo resa una buona azione, una devozione personale, meglio individuale?
quale rivoluzione nella chiesa, nei discepoli, nelle società, nel mondo può realizzare la nostra eucaristia mascherata?

Non è più l'eucaristia della chiesa-corpo di Cristo che scandalizza, disturbando
il pensiero religioso\sociale tradizionale. Purtroppo è l'eucaristia defraudata e mascherata, l'eucaristia separata dalla chiesa-popolo di Dio-corpo di Cristo che perpetua lo scandalo, ostacolando "la comunione" con Dio Trinità e tra noi.




mercoledì 8 maggio 2013

Da cuore a Cuore

Murillo, Buon Pastore

Fidenza, Parrocchia di San Paolo. Si sta svolgendo la missione parrocchiale. Il tema è: Ravviva il dono di Dio che è in te. La fede.
Tre missionarie: Luisa, Paola e io. Incontriamo le famiglie e alcuni gruppi di adolescenti e giovani; visitiamo gli ammalati; annunciamo il Vangelo.

Stamattina arrivo in casa di una signora che si muove con l'aiuto di un girello. Ha ottantasette anni, ex insegnante di scuola elemetare. Vive sola, ma nella stessa casa abita il figlio con la famiglia. Una donna di fede, sofferente, ma fiduciosa. Le ho portato l'eucaristia, che lei riceve con molta devozione dopo che abbiamo pregato insieme. Alcuni momenti di silenzio, poi prega con tenerezza:
Cuore di Gesù, tu sai.
Cuore di Gesù, tu puoi.
Cuore di Gesù, tu vedi.
Cuore di Gesù, provvedi.
Cuore di Gesù, concedi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

Una preghiera che mi stupisce e commuove per la semplicità e l'assoluta amorosa fiducia che esprime. Le chieso di ripeterla, perché sono missionaria del Sacro Cuore, ma non ho mai sentito questa preghiera. Lei al ripete con calma quasi solenne. Decido di scriverla e di imparare a pregarla.
Carissima signora maestra, la sua vocazione di educatrice è ancora viva oggi. Cerco di immaginare quanti bambini avrà educato e a quanti avrà insegnato questa antica preghiera, che - come mi dice - sua nonna ha insegnato a lei. Una preghiera del cuore che parla al Cuore di Gesù. Grazie.

martedì 16 aprile 2013

Preghiera alla Vergine dell'ECCOMI


Maria di Nazaret,
Sposa di Giuseppe,
il tuo cuore di Vergine fedele
ha ascoltato con stupore, fede e amore
la Parola del Padre che
in te si è fatta Carne.
Il Figlio di Dio, dicendo
 “Eccomi, io vengo, Padre,
per fare la tua volontà”
è diventato tuo Figlio Gesù
e nostro unico Salvatore.
Su tutti noi, tuoi figli in Lui,
invoca il dono dello Spirito,
perché con te e con Lui sappiamo ripetere
Eccomi,
si compia in me la tua Parola”,
vivendo e annunciando la gioia
di essere Chiesa Sposa di Cristo,
Serva dell’amore e della speranza
per tutta l’umanità assetata di Vita.
Amen

sabato 30 marzo 2013

Un'alba nuova

Marko Rupnik, Risurrezione


Dove la delusione è curata dalla speranza
e l'angoscia dalla fiducia,
dove l'abbandono è sconfitto da un incontro
e la solitudine dalla compagnia,
dove la menzogna è oscurata dalla verità
e la superbia dall'umiltà,
dove la stoltezza è vinta dalla sapienza
e l'indifferenza dalla responsabilità,
dove la tristezza è vinta dalla gioia
e la rabbia dalla pace,
dove il dubbio è sollecitato dall'attesa
e la disperazione dissetata dalla fede,
dove il dolore è lenito dalla solidarietà
e fecondato dal dono di sé,
dove il potere è convertito in servizio
e la violenza in tenerezza,
dove l'odio è vinto dall'amore
e la vendetta dal perdono,
dove la morte è sconfitta dalla vita,
qualcuno ha accettato di vivere un incontro,
ha accolto anche inconsapevolmente
lo Sconosciuto Pellegrino,
e riconosciuto, nello spezzare il Pane,
il Crocifisso Risorto,
Cristo nostra speranza.


Caravaggio, Cena di Emmaus

Auguri
di una SANTA PASQUA di RISURREZIONE!

giovedì 14 marzo 2013

Francesco


Mercoledì 13 marzo 2012, alle 18,30 sono a Messa e penso che proprio in questi momenti potrebbe esserci la fumata bianca. All'offertorio offro con il pane  e il vino la vita della Chiesa, la responsabilità dei cardinali, il desiderio dei cristiani che il nuovo Papa sia secondo il cuore di Dio. Alla comunione invoco la benedizione del Signore sulla chiesa che sta scegliendo e attendendo il nuovo Pastore. Mi vengono in mente alcuni nomi di cardinali di cui si parlava nei giorni scorsi. Mi ha particolarmente affascinato l'Arcivescovo di Boston, O'Malley, cappuccino, che ha risollevato le sorti di una Diocesi ferita dagli scandali e dalla reticenza a riconoscerli e a combatterli. Leggevo che ha venduto l'episcopio per risarcire le vittime della pedofilia, che è un uomo a cui vengono affidate le situazioni più gravi, che è vicino alla gente e veste sempre il suo saio francescano. Penso, pregando: se fosse lui il nuovo papa come potrebbe chiamarsi? ...Francesco... Sarebbe Francesco primo... Mai nessun papa si è chiamato Francesco... Un segnale di novità evangelica....
Termina la celebrazione poco dopo le 19. Mentre esco dalla chiesa sta entrando p. Dino: E' bianca! E' bianca! Esco di corsa per andare davanti alla TV e sento che inizia il suono festoso delle campane.
Il mio orologio segna circa le 20,15 quando, tra le acclamazioni della piazza S. Pietro, si apre la grande finestra della loggia centrale della Basilica Vaticana.

Annuntio vobis gaudium magnum;
habemus Papam:
Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Georgium Marium
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio
qui sibi nomen imposuit Franciscum

Non so chi sia questo Bergoglio... ma quel nome Francesco... sì, quello lo so chi è! E mi lascia senza fiato. Se non è il cappuccino, perché questo nome?
Bergoglio... sì l'Arcivescovo di Buenos Aires: ne ho sentito parlare nei giorni scorsi; è quello che dicono sia molto vicino ai poveri, quello che gira con i mezzi pubblici.
Dopo l'annuncio passano alcuni minuti, il tempo di avere un po' di notizie, su questo eletto, da parte dei giornalisti. E' un gesuita, il primo gesuita papa. Novità. E ha scelto il nome di Francesco. Novità. Come mai, se è un gesuita? Non Francesco Saverio, gesuita compagno di S. Ignazio e patrono delle missioni. Ma Francesco. Perché?
Ed ecco il nuovo papa si affaccia alla loggia: la piazza impazzisce. Siamo commossi e col fiato sospeso in attesa di scoprire il dono fattoci dai cardinali... e dallo Spirito Santo!
Sembra che non respiri: una statua bianca che saluta solo con la mano. Il viso non tradisce espressione, gli occhi fissi sulla piazza, che acclama: Papa Francesco! Papa Francesco! Lunghi istanti di silenzio dell'uomo bianco; silenzio pieno del grido della folla.
Il microfono si avvicina...
Fratelli e sorelle, buonasera!

Sorprendente! La prima parola del papa è un semplice buonasera.
Com'è vicino, com'è semplice Francesco!
Con un solenne "Sia lodato Gesù Cristo!" aveva esordito Giovanni Paolo II, il primo papa dell'epoca moderna che abbia rivolto un saluto alla folla al momento dell'annuncio della sua elezione. Nessuno lo aveva fatto prima e ci sorprese questo "Vescovo di Roma.... chiamato da un paese lontano....Non so se posso bene spiegarmi nella vostra... nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete" E così fu promosso italiano, romano, seduta stante!

Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma - continua Francesco - Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.
[Recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre]
Certo, passiamo di novità in novità. Non avevamo mai visto un papa dimissionario, ritirato in preghiera, mentre i cardinali stanno scegliendo il suo successore. E ora l'eletto, nuovo Vescovo di Roma, prega per il Vescovo emerito. E prega in italiano.
Il tempo dovrebbe dilatarsi per darci modo di gustare ciò che sta accadendo, ogni briciola di novità che ci viene offerta e accorgerci che non è assoluta, ma frutto di un cammino nuovo della Chiesa iniziato cinquant'anni fa e, più o meno faticosamente o speditamente, percorso da cinque Vescovi di Roma. Poche volte come una marcia trionfale, quasi sempre come una Via Crucis, con i colori del tramonto o del meriggio, ma sempre con lo sguardo fisso a una luce, quella della Novità Eterna: la Risurrezione.
La notte è scesa da un po' su Roma e su piazza S. Pietro, quando Francesco continua il suo primo discorso come 266mo successore di Simon Pietro.
E le sue parole feriscono questa notte e, come in quella notte in cui sembrava che i sette discepoli sulla Barca di Pietro avessero faticato inutilemente sul lago di Galilea, un'alba nuova ha cominciato a sorgere all'orizzonte.
E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!
E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.
Non solo sorprendente, ma incredibile, il silenzio con cui improvvisamente la folla risponde alla richiesta del suo pastore. Silenzio. Carico di stupore, commozione, fede, gratitudine.
Eccolo Francesco, il semplice, l'umile, il povero che si china a ricevere ciò che ha chiesto, perché ne ha bisogno. Il pastore, il Vescovo di Roma, inchinato davanti a Dio e al suo popolo, per essere benedetto.
Ecco perché questo nome.
E ci rendiamo conto che è semplicemente vestito di bianco, senza mozzetta rossa, e la sua croce non luccica né di oro, né di pietre preziose, una semplice croce di ferro.
Sta iniziando il cammino del Vescovo con il suo popolo, insieme come fratelli nella Mano di Dio. Fratellanza: parola antica, ma nuova, attesa sulla bocca del pastore. Parola evangelica e francescana. Parola che parla di Chiesa, famiglia di fratelli e sorelle, e di collegialità: il Vescovo di Roma, per la prima volta, si presenta accompagnato dal suo Vicario per la Diocesi. E ci tiene a presentarlo.
E dopo che il popolo ha invocato la Benedizione di Dio sul suo Vescovo, il Vescovo benedice il popolo.
Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
[Benedizione]
Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!
Laudato sii, mio Signore, per fratello Francesco, Vescovo di Roma.
Otto secoli fa, nella Chiesa di S. Damiano, ad Assisi, un giovane Francesco ascoltò una voce che proveniva dal Crocifisso dipinto: "Francesco, va' e ripara la mia Chiesa". Ed egli, per obbedire a quel comando di cui non capì la portata, vendette ciò che aveva, restituì i vestiti e il nome e la condizione sociale privilegiata che il padre gli offriva, per condividere la vita dei poveri, per annunciare il Vangelo della fraternità in Cristo, per restituire al mondo la luce della fede, della speranza, dell'amore che sgorgano dal Crocifisso. Qualche anno dopo, il papa Innocenzo III, vide in sogno il penitente di Assisi di nome Francesco che sosteneva sulle sue spalle la Basilica Lateranense, sede del Vescovo di Roma, che rischiava di crollare.
Nella quaresima 2013, il papa Benedetto, per amore di una Chiesa immersa nella lotta per la fedeltà al suo Signore e Sposo e ferita dalle sue stesse infedeltà, ha compreso, come l'antico Innocenzo, di non avere più le spalle adatte a sostenere e rinnovare la Sposa di Cristo. E in risposta a questa umiltà, un nuovo umile Francesco è stato inviato dallo Spirito.
Nella sua prima Messa da Vescovo di Roma, concelebrata con i cardinali, la prima lettura era tratta dal profeta Isaia che profetizza il cammino di tutti i popoli verso il monte del tempio del Signore; la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Pietro parlava della pietra viva che è Cristo e di coloro che, in Lui, sono pietre vive usate per edificare un edificio spirituale; il Vangelo di Matteo annunciava la professione di fede di Simon Pietro e la conseguente risposta di Gesù: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa.
L'omelia, a braccio, a voce sommessa e con sguardo trasparente, tenuta dall'ambone, illumina inequivocabilmente la fisionomia del nuovo Vescovo di Roma.
"In queste tre Letture vedo che c'è qualcosa di comune: è il movimento. Nella prima lettura il movimento nel cammino; nella seconda settura, il movimento nell'edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare confessare [...]
Edificare.  Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: 'Chi non prega il Signore, prega il diavolo'. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo.
Camminare, edificare, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: 'Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c'entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce'. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l'unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso".
E' la fisionomia di Francesco. Laudato sii, mio Signore.