sabato 4 luglio 2015

Provvidenziali debolezze degli eletti

CARAVAGGIO, Conversione di San Paolo

XIV domenica tempo ordinario  B
2Cor 12, 7b-10

Non si può negare che Paolo fosse un eletto. Scelto tra tanti, scelto tra i persecutori per diventare testimone privilegiato, per essere apostolo dei pagani. Un cambiamento di vita radicale, da un estremo all’altro. Destinatario di grazie speciali, straordinarie, di cui egli stesso dà testimonianza.
Era Saulo; è diventato Paolo, piccolo: chi è grande davanti a Dio? Non ha detto Gesù, il Crocifisso, che per entrare nel Regno occorre diventare piccoli?

Paolo: il contrario di Simone diventato Pietro.
Strane e incomprensibili le scelte e le opere di Dio.

Simone è fragile. Pur essendo un forte pescatore e, forse, un Bar-Jona, affiliato a un gruppo di violenti rivoltosi, a Simone riesce facile essere debole, fragile. Non deve impegnarsi, gli viene spontaneo, andando dietro alla fragilità delle sue emozioni. E di tanto in tanto deve accorgersi di non essere all’altezza del pensiero e dello stile del Maestro, che si trova costretto a correggerlo e a richiamarlo. Fragile, debole, lui che si credeva più forte degli altri, fino a quella notte spaventosa, fino al canto del gallo che gli fa scoprire il suo nulla, il suo peccato, il suo tradimento, la sua incapacità a restare amico fedele. E non glielo aveva detto Gesù? proprio il gallo, cantando, glielo ricorda. Un piccolo gallo, quella notte, lo schiaffeggia nel profondo del cuore. Lui, Simone, che Gesù aveva rinominato Pietro-Roccia-Forza. Ma non è possibile che Gesù volesse prenderlo in giro, schernirlo, con quel nome che nella notte del tradimento sembra un insulto. Quel nome è la missione di Simone. Ma la sua missione è dono, lo Spirito del Risorto sarà il protagonista vero della sua missione.  Il Risorto è la Pietra angolare e lo Spirito renderà Simone così Uno con Gesù, da renderlo la Roccia della Chiesa di Cristo. La forza dello Spirito nella debolezza di Simone. Forse proprio per la sua debolezza e per l’esperienza di fragilità e di peccato di Simone, Gesù lo sceglie come Pastore di un popolo di deboli peccatori, bisognosi della misericordia che sgorga dal Cuore del Trafitto.

Saulo, invece, è un eletto. Già prima di essere conquistato dal Risorto. Lo spiega lui stesso:  “circonciso all’età di otto giorni, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo” (Fil 3,5). Tutti indicatori di elezione, all’interno del Popolo Eletto. Ma non basta: poi viene eletto anche da Cristo Risorto. Povero Saulo: è vero che si trasforma in Paolo, ma l’elezione è elezione: è la più grande tentazione alla superbia.
Ed è difficile ricordare, per gli eletti, che semplicemente il Signore-Servo del Padre e dei fratelli peccatori sceglie persone deboli per renderli servi, ultimi.
Troppo nella Chiesa si è parlato di elezione in riferimento ai consacrati, in particolare ai sacerdoti. Ma l’elezione riguarda tutti quelli che il Signore chiama alla comunione con lui, cioè tutti, e tutti peccatori. Tutti eletti alla santità, grazie solo alla sua misericordia. E di questa misericordia i consacrati sono servi.
Troppe volte, io consacrata, sento dire che i consacrati sono privilegiati perché sono stati scelti da Dio e perché hanno sacrificato tutto per Dio. E ci sto male. Io non ho sacrificato nulla, ho ricevuto tanto e non so perché. Dio mi ha dato tutto come dà tutto a tutti coloro che sono disposti a ricevere da Lui. Ci dà Se stesso.  È vero, la consacrazione è un dono: questo significa che non sono creditore, ma debitore, verso Dio e verso tutti. Coloro che Dio chiama alla vita consacrata non ne sono meritevoli e neanche lo diventano.
La tentazione della superbia può far credere che  la consacrazione renda privilegiati quanto alle umane debolezze, quasi immuni, comunque migliori, almeno “diversi”, “separati”. A volte lo si nota dai discorsi e dalle omelie, che spesso parlano un linguaggio così diverso e distaccato dalle comuni realtà della vita!
Il Figlio di Dio, che era “tutt’altro da noi” ha voluto essere simile  a noi, uno con la fragilità della nostra condizione umana. Come possiamo noi pensare di servire il Regno “ distaccandoci” dal resto dell’umanità?

Chissà chi sarà stato l’inviato di Satana incaricato di schiaffeggiare Paolo ogni volta che è tentato di superbia! Così tormentoso che per tre volte chiede al Signore di liberarlo. Ma il Signore non è del parere.
Questo Signore che da Ricco si è fatto povero, da Padrone servo, da Onnipotente debole, da Santo tentato, ci sceglie con le nostre debolezze e non intende liberarcene.  
Perché le nostre debolezze, fisiche, materiali, spirituali, persino morali, ci rendono più simili a Lui Crocifisso e Nudo. E per la verità Lui ha voluto essere Crocifisso e Nudo per somigliare a noi, crocifissi e nudi.
La debolezza è ciò che ci identifica come creature, come figli peccatori. La debolezza è  il luogo tutto nostro nel quale possiamo accoglierlo e lasciarci amare.
Papa Giovanni Paolo I ebbe a dire – scandalizzandoci nel suo brevissimo magistero di Vescovo di Roma – che anche il peccato mortale può essere permesso da Dio per mantenerci nell’umiltà, che è l’unica condizione onorevole per noi. Mentre noi, con la scusa di dover dare buona testimonianza, siamo preoccupati dell’immagine che diamo di noi stessi. E cadiamo nell’ipocrisia. Sorella gemella della superbia.


Simon Pietro e Saulo Paolo, due forti deboli, due pastori scelti dal gregge, peccatori come le pecore del gregge, servi del Signore e con Lui servi dell’umanità.  Amati e scelti dal Cristo, hanno dovuto imparare che nella debolezza si manifesta la forza, quella dello Spirito di Dio, che sgorga dal Cuore dell’Umiliato Figlio, che non si vergogna di chiamarci fratelli davanti al Padre.