mercoledì 28 agosto 2013

Beatitudine dell'ignoranza e della sete



 Dipende da come si percepisce la realtà. E noi siamo bravissimi a illuderci, a raccontarci menzogne e a crederci!
Da sabato scorso, oggi è il quarto giorno che nella Liturgia ci vengono proposti brani del Vangelo di Matteo in cui Gesù grida "Guai a voi!" agli ipocriti, cioè a coloro che si percepiscono maestri, sapienti. Insomma, Gesù grida "Guai a voi!" a quelli che non hanno niente da imparare, a quelli che chiudono gli occhi sulla loro ignoranza e si precludono la possibilità di esserne liberati, la possibilità di accedere alla luce, alla sapienza, alla libertà, all'amore. Tutto questo è tragico, perché Dio si è fatto uomo proprio per donarci tutto questo: la sua luce, la sua sapienza, la sua libertà, il suo amore. Tutto questo è vera felicità. Per questo grida "Guai a voi!". Quale guaio più grande che restare volontariamente e ipocritamente - quindi colpevolmente! - nelle tenebre della stoltezza e dell'insipienza, e nella prigione dell'egoismo?

Oggi la Chiesa fa memoria del grande Agostino: il grande esperto nella ricerca della Luce e dell'Amore; colui che ha lottato per arrivare a scoprire la propria ignoranza, lui, il grande retore, il grande professore!
Grotte di Castelcivita (SA)

Prima di Gesù, Socrate insegnò che l'unica sapienza è arrivare alla consapevolezza della propria ignoranza. Agostino lottò per prendere consapevolezza della propria sete.

Quando Gesù dice: "Beati i poveri in spirito" credo che stia dicendo "Beato chi sa di non sapere". E penso alla donna di Samaria che andò a prendere acqua al pozzo, incontrando Gesù: beata lei che aveva sete e trovò in Lui l'acqua che disseta per la vita eterna!

C'è una pagina commovente ed entusiasmante dei Vangeli: Gesù danza di gioia come un bambino e canta al Padre la sua lode, perché dona la sua sapienza ai semplici, cioè a coloro che sanno di aver bisogno di sapienza, di conoscenza, di luce. E un'altra pagina straordinariamente commovente è quella in cui Gesù abbraccia un bambino e dice che occorre diventare bambini per entrare nel Regno. Mi sono sempre chiesta: "chi è il bambino?".
Il bambino è quello che chiede sempre "cos'è?" e - con insistenza esasperante - "perché?".
Il bambino è quello che grida quando ha fame e sete. 
Il bambino è quello che semplicemente risponde all'insaziabile sete di conoscenza e al vitale bisogno di alimentazione, chiedendo a chi può dargli ciò di cui non può fare  a meno.

Il bambino è l'icona più limpida della beatitudine dell'ignoranza e della sete. Questa beatitudine - beati i poveri in spirito - è la condizione indispensabile per essere VIVI, cioè sapienti, liberi, amanti.

Che tristezza scoprire come sappiamo sempre ridurre la Parola, che è Luce, a precetti morali. E' quanto fecero gli antichi scribi e farisei e restarono prigionieri di se stessi, della loro stupida e colpevole ignoranza.

Già, ci sono due tipi di ignoranza: quella intelligente, di chi sa di essere ignorante, sa di aver bisogno di cercare, di conoscere, di imparare. Solo chi sa di essere ignorante cerca un Maestro, una Guida, solo chi sa di essere ignorante si dispone allo studio, alla ricerca, all'incontro, alla Luce e dunque all'Amore, che è la perfezione di ogni conoscenza.

C'è, invece, l'ignoranza stupida e superba, mascherata, ipocrita, colpevole. Quella contro cui Gesù grida i suoi "Guai a voi!". Quella che impedisce di entrare nel Regno della Luce.
Guai a noi se riduciamo il Bell'Annuncio - l'Evangelo - a dei moralismi: continuiamo a crocifiggere la Parola, il Cristo.
Non si tratta solo di imparare il catechismo! Non si tratta di sapere le preghiere e andare a messa!

Chi si chiude in se stesso e gli basta, chi si accontenta di un pezzo di carta per trovare un lavoro, chi non si guarda mai oltre  quei pochi metri che sottostanno ai suoi occhi, chi ha paura di scoprire che c'è qualcosa di bello che ancora non ha visto, chi si annoia davanti alla meraviglia della natura fino a trovare divertimento nel deturparla, chi si ostina  a nascondere la propria ignoranza e la propria sete di vita, credendo di potersi alimentare di cose e di soldi e di titoli, chi si accontenta di stare comodo senza cercare più niente di meglio, chi si abitua al buio - in ogni campo - e non sa più che esiste la luce, chi uccide la curiosità dicendosi che ormai ha visto tutto, chi non si chiede più "cos'è?" e "perché?", è già morto e si illude di vivere.

Perciò davanti a costoro Gesù continua a gridare "Guai a voi!". Non è una minaccia, è un grido di dolore! Un avvertimento.

Chi solleverà la pietra della tomba se non l'Evangelo della Luce, della Bellezza, della Conoscenza, della Meraviglia sapiente?

















domenica 25 agosto 2013

La porta di Bethlehem


Bethlehem, Ingresso della Basilica della Natività


Il Vangelo di questa XXI Domenica del Tempo Ordinario mi fa pensare alla porta di ingresso della Basilica della Natività a Bethlehem.
Chiedono a Gesù quanti sono quelli che si salvano. Ma Lui non è interessato a questo, piuttosto si preoccupa di educare i suoi discepoli ad entrare nella porta che conduce alla Vita. Una porta che è aperta a tutti; una porta disposta a ricevere uomini e donne provenienti da ogni angolo della terra, dai quattro punti cardinali. Una porta chiusa solo per coloro che non sapranno conformarsi ad essa.

Quando si arriva a Bethlehem, nella piazza della Basilica della Natività, è sconcertante la misura della porta: è alta un metro e mezzo, larga forse un metro. Anticamente era alta più di cinque metri e c'erano altri due ingressi, che poi furono murati. Pare che tutto questo sia avvenuto per difendere il luogo sacro e per impedire che si entrasse con i cavalli nella Basilica. A ma pare che quella piccola porta dica molto di più.
Bisogna chinarsi per entrare, bisogna adattarsi alla sua misura. Là dove Dio si è fatto Bambino, prendendo la carne umana, ogni carne umana deve rendersi piccola come un bambino. Quel Bambino è la Porta del cielo. Gesù adulto dice: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Per entrare nella Vita, per essere in comunione vera con Dio, occorre entrare in Gesù, dimorare in Lui e lasciare che Egli dimori in noi, occorre conformarsi a Lui: avere il suo pensiero e i suoi sentimenti, secondo S. Paolo.
La porta di Bethlehem costringe chi vuole entrare a diventare piccolo, come piccolo è l'Emmanuele, il Dio con noi, Gesù, che è entrato nel mondo attraverso la piccola porta del seno di Maria. Per essere in comunione con un Dio che si fa piccolo, occorre diventare piccoli: "Se non diventate come bambini, non entrerete nel Regno".



Gerusalemme, Ingresso del Santo Sepolcro nella Basilica della Risurrezione

 
Anche l'ingresso al Santo Sepolcro è stretto e basso, anche per entrare lì occorre farsi piccoli. A me sembra che anche questo sia un segno, richiami quella porta di cui Gesù parla, quella dove entreranno più facilmente gli ultimi, quelli che il mondo considera piccoli, soprattutto quelli che considerano se stessi piccoli, come il Figlio di Dio fatto Figlio di Maria, la piccola donna di Nazareth, colei che dice di sé: "Dio ha guardato la piccolezza della sua serva".

La porta stretta a cui occorre conformarsi è il Mistero Pasquale: la morte di croce e la risurrezione, l'unica potenza che può salvare tutti, così piccola e debole che di fatto salva solo coloro che decidono di lasciarsi salvare. I grandi che credono di salvarsi per i loro meriti, per la loro forza, per la loro giustizia, non riusciranno a entrare.
La porta stretta è il Mistero Pasquale che la chiesa celebra nell'Eucaristia: diventare una sola carne con il Corpo spezzato e il Sangue versato del Salvatore significa prendere la sua forma.
E dunque, ancora in questa domenica, la Parola ci incoraggia alla lotta: non è possibile, dentro la cultura della forza, del potere e della prepotenza, della superiorità e della grandezza ostentata in tutti i modi, anche i più meschini e sciocchi, non è possibile conformarsi alla piccolezza e alla debolezza di Dio Amore, senza una terribile e costante lotta. Una lotta nella quale, però, non siamo soli, perché il Salvatore ha lottato per noi e con noi continua a lottare, offrendo il suo Pane  e il suo Vino.

La misericordia è la porta stretta in cui occorre entrare: la misericordia di Dio è una porta aperta ai quattro angoli della terra, ma per noi, conformarci ad essa - diventare cioè misericordiosi - è la porta stretta, come lo è stato per Gesù: è il Mistero Pasquale.



domenica 18 agosto 2013

Palestra senza vacanza



Già... nell'inquietudine la pace. Il Vangelo e la Parola di Dio in generale ci appaiono pieni di contraddizioni.... cioè la Verità contraddice le nostre illusioni.

Nella solennità dell'Assunzione di Maria, papa Francesco ha fatto emergere dalla contemplazione della Parola di Dio tre parole che sono esperienze vere di vita: lotta, risurrezione, speranza.
E in questa estate, mentre cerchiamo di fare vacanza, in qualche modo, la Parola, anche in questa domenica, ci riconduce in palestra, ci rimette davanti alla realtà della vita che è vera solo nella perseveranza della corsa, alimentata dal desiderio ardente che è passione d'amore per il Bene. E' vera solo nella lotta quotidiana contro ogni forma di male, di ingiustizia, a cominciare dall'egoismo, che è anzitutto ingiustizia verso se stessi e quindi verso gli altri. E' vera solo se concimata dall'attesa impegnata, che è speranza con il volto del servizio, della solidarietà, della comunione.

E tutto questo allenamento è possibile solo tenendo lo sguardo fisso su Gesù, principio, causa e compimento della fede, Uomo bruciato dalla passione d'amore per i suoi fratelli e sorelle, con i quali intende condividere la sua vita di Dio che scende a immergersi nella sofferenza e nella morte che li ghermisce e li inghiotte.

Geremia profeta, straordinaria immagine del messia perseguitato perché solidale con il destino tragico del suo popolo, viene salvato da un Etiope, uno straniero più saggio e coraggioso del re e più onesto dei fedeli di Israele che credono di dovere e potere difendere i diritti di Dio e del suo tempio e del suo popolo. Chiudendo gli occhi sulla Verità, pur di non perdere le loro illusioni di grandezza e di privilegi.

Chiunque, anche se lo fa o crede di doverlo fare in nome di Dio, si pone in posizione di separazione, di distanza, di privilegio; chiunque crede, perché si sa amato e scelto da Dio, di potersi esonerare dai pesi e dalla fatica e dagli obblighi che gravano su tutti i sui fratelli e sorelle, sta facendo, forse in nome di Gesù, il contrario di ciò che Gesù ha amato, desiderato, compiuto fino all'estremo: essere in tutto simile a ogni uomo e ogni donna che deve quotidianamente affrontare la vita nella limitatezza della carne, nel lavoro, nella sottomissione alla legge, nella lotta per la giustizia a costo di incomprensioni e persecuzioni, nel rifiuto di ogni privilegio compresa l'esenzione dalle tasse, nella povertà di ogni riconoscimento e successo. Nel dolore e nella morte. Nella contraddizione, nella ricerca, nel fuoco del desiderio, nell'angoscia dell'attesa, nella speranza della risurrezione. 
Senza vacanze. Ma nella pace del cuore che viene dal Suo abitare in noi e dal nostro abitare in Lui.





lunedì 12 agosto 2013

Inquietante

Per fede.
Nel brano della Lettera agli Ebrei ( 11,1-2.8-19) che la Liturgia di ieri ci ha fatto ascoltare, questa breve espressione ci è stata ripetuta come un ritornello. Cinque volte.
E si narra che cosa alcuni personaggi - che noi chiamiamo padri e madri nella fede - hanno concretamente vissuto. Non si parla della fede come di un insieme di concetti, di dogmi, di idee. La fede di costoro - fede in Dio - è fatta di terra, di abitazioni, di partenze e di viaggi, di carne e sangue: la nascita di un figlio, l'offerta di un figlio, la promessa di una discendenza numerosa.
Per fede.
E da due giorni mi risuona dentro una domanda inquietante: ma che cos'è questa fede?
E in questa pagina della lettera agli Ebrei cerco una luce: e scopro un viaggio, un'attesa, una ricerca, una lotta. Una fiducia contro ogni umana smentita. Questa è la lotta.
La lotta di Abramo nell'incontrare un Dio oltre ogni immaginazione, oltre ogni idea di dio che un uomo possa farsi. La lotta di un ascolto che scava le profondità di un cuore umano. La lotta di un silenzio. La lotta di un amore. Che diventa speranza. Perché non può esserci separazione tra fede speranza amore. Come non c'è separazione tra Padre Figlio Spirito Santo.
La lotta che conduce a viaggiare seguendo una guida, una stella nella notte, una parola nel silenzio, che richiede impegno, ricerca, fatica, ma soprattutto fiducia, consegna. Per imparare che non sono io l'Autore del Progetto, il Padre della Vita, la Forza del Cammino, ma PER FEDE mi è dato di condividerne la responsabilità, la gioia della fecondità, l'accoglienza del frutto, la sublime paternità e maternità del dono.

La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.
Forse vuol dire che il senso della vita non è nell'afferrare ma nel ricevere, non nel dogma ma nella ricerca, non nell'autonomia, ma nella comunione.
E scopro che la fragilità della fede può avere la solidità della roccia. Nel timore può abitare la speranza. Nella solitudine l'amore. Nella lotta la gioia. Nell'inquietudine la pace.