mercoledì 18 aprile 2012

Umorismo della speranza



La risurrezione di Gesù, ucciso sulla croce, cambia le carte in tavola al gioco cieco dell'invidia, dell'ingiustizia, dell'odio e della violenza umani. Davvero all'amore sofferente e sanguinante del Padre e del Figlio, sorprendentemente si unisce il gioco di luce gioiosa dello Spirito che, risuscitando il Figlio, rivela la stupidità violenta e ingiusta del male. E nella fede, che lo Spirito suscita e alimenta nel cuore dei discepoli, si cela e si manifesta la forza di una speranza che, pur nel dolore e nel turbamento provocato dalla persecuzione, ridicolizza la paura su cui poggiano i transitori poteri umani.

La Parola di Dio della liturgia di oggi ci riconsegna con sereno umorismo la luminosa speranza che chi confida nel Signore non resta deluso. Non è l'eliminazione della sofferenza e della lotta che assicura e rende facilmente accessibile il successo e fruibile il raggiungimento di risultati buoni, specie se si tratta del Regno di Dio. Non è l'assenza di persecuzione, di contrasto - provenienti dall'esterno o dal mio stesso intimo - che rende possibile il servizio e l'annuncio del Regno.
Ma la lotta e la tribolazione possono avere il sapore del sorriso amante di Dio, che porta alla luce ogni bene, che rende feconda ogni lotta, che libera anche da prigioni umanamente invincibili - anche quelle che la mia stessa paura costruisce -.
Quel sorriso di Dio è la forza dei deboli e rivela la paura di chi confida nel potere delle armi e della prevaricazione. Perchè costoro combattono al buio e non possono vincere la luce.

Accolgo oggi l'invito della Parola a sorridere, come fa Dio nei cieli, delle strategie messe in atto dal male, a confidare nell'onnipotenza debole dell'Amore. Accolgo l'invito del Signore, continuamente ripetuto nella Scrittura, in particolare dopo la risurrezione, a non temere. Egli è la luce, che vuole risplendere anche nella mia povertà e debolezza . E le tenebre non possono vincerla.

domenica 15 aprile 2012

Lettera al gemello Tommaso

CARAVAGGIO, Apparizione del Risorto a Tommaso

II Domenica di Pasqua

At 2, 42-47
Sal 117
1Gv 5, 1-6
Gv 20, 19-31


Carissimo Tommaso,
al termine di questo ottavo giorno dalla Risurrezione del Signore, desidero ringraziarti.
Ti ho sempre guardato con simpatia e ho imparato a volerti un gran bene.
Per tanto tempo mi sono chiesta perchè l'Evangelista fosse tanto interessato a sottolineare il tuo soprannome "Didimo - gemello", dimenticando di dirci di chi tu fossi gemello...
Ma mi è sempre piaciuto contemplarti mentre contempli il Risorto che ti invita a mettere la tua mano sulle sue ferite e a guardare; contemplarti mentre con gli occhi ridondanti di stupore e - immagino - con il cuore che scoppia di gioia, amore, timore, fede, invochi "Mio Signore e mio Dio!".
Mentre ti contemplo... mi pare di contemplare con i tuoi occhi le ferite del Risorto, di incontrare con i tuoi occhi il Suo sguardo appassionato e - mi sembra - desideroso del tuo tocco adorante e innamorato. Mentre, attraverso te, contemplo il Risorto, mi pare di sentire i battiti forsennati del tuo cuore, mentre ascolti la sua voce che ti chiama per nome "Tommaso". La stessa esperienza che ha vissuto, otto giorni fa, Maria di Magdala.
E mi pare di poter esprimere con le tue labbra e con lo stesso tremore nella voce, la tua fede: Mio Signore  e mio Dio! Parole che ho imparato a pronunciare, entrando in chiesa, quando ero ancora molto piccola...

Ma dov'eri, Tommaso, otto giorni fa, quando le donne sono andate alla tomba e non hanno trovato il corpo crocifisso?
Dov'eri, quando gli altri erano nella sala della cena - forse c'era anche la Madre - e Lui è stato in mezzo a loro?

Intanto loro l'hanno incontrato, hanno potuto riconoscerlo nonostante la poca fede e il grande turbamento... mentre tu... avresti dovuto accontentarti della loro affermazione: "Abbiamo visto il Signore". Veramente anche loro non hanno proprio creduto quando Maria per prima ha detto: Ho visto il SIgnore.
E mi pare di percepire, nella tua voce e nelle tue parole, un dolore di solitudine, forse di abbandono - stai gridando? - "Se non vedo e non tocco, io non credo!".
E il mio cuore sente la trafittura del tuo cuore: quasi una sottile lama di gelosia, di amicizia ferita, un doloroso bruciante desiderio di vedere e toccare qual corpo di amico fattosi pane per te pochi giorni fa, quelle ferite che senti tue, quell'amico che ami e con il quale avevi creduto di poter condividere la sorte.
Sento, nel mio, il dolore del tuo cuore per aver perso l'appuntamento. E sento che il tuo desiderio di vederlo e di toccarlo è anche mio.
E sento la sua voce che chiama anche me per nome, nella celebrazione di questo ottavo giorno, mentre chiama te e ti invita a guardare, a toccare, a credere. Non è forse innamorato di te - e di me - questo Gesù Crocifisso Risorto? Non sono i verbi dell'amore e degli innamorati "guardare, toccare e credere"?

Non so dove tu fossi otto giorni fa, caro Tommaso, fratello gemello mio!
Sì, ora so di chi sei gemello! Come te anch'io perdo spesso l'appuntamento con Lui, pur desiderandolo e cercandolo,  perché non lo cerco dove Lui è: nella comunità dei peccatori che faticosamente credono e da lui ricevono lo Spirito che perdona. E ci resto male e addirittura mi sento quasi abbandonata dall'Amico. E mi tormento e grido la mia attesa e la mia pretesa... e poi... quando meno me lo aspetto... me lo trovo davanti: è Lui che sta cercando me e mi chiama per nome e mi invita a guardarlo , a toccarlo, a mangiarlo, credendo! E mi fa notare - come a te - che, poiché ho visto, posso credere. E posso annunciarlo perché altri possano vederlo.
Perché la fede è avere occhi per vedere, passione per toccare e riconoscere Colui che ci ama da morire e da risorgere.