domenica 21 giugno 2015

Così com'era


GIORGIO DE CHIRICO,  Cristo e la tempesta

Lo stupore è il protagonista di questa pagina di vangelo, che sembra una parabola, ma è un avvenimento: lo stupore pieno di spavento dei discepoli che vedono il sonno assurdo del Maestro mentre stanno affondando; lo stupore del Maestro per la mancanza di fede dei suoi discepoli. Di nuovo lo stupore dei discepoli per il potere inaudito del Maestro che fa tacere il vento e calmare il mare in tempesta; lo stupore – il mio stupore – di chi legge un simile racconto.
E la parola che più mi stupisce, la più strana del Vangelo, forse: “lo presero con sé, così com’era, sulla barca”.
È come un immenso punto interrogativo, che mi costringe a fermarmi… a indagare? Forse solo ad ascoltarla, a ripetermela… e contemplarla. È solo un inciso, forse è un errore di trascrizione, forse è finita lì per caso, una parola scappata in più dalla penna dell’autore... Eppure Marco non è uno scrittore prolisso, non è uno abbondante di parole, anzi pare sempre che le misuri. E allora questa frase misteriosa – così com’era – non sarà il seme nascosto da cui fiorisce la spiga? Poco prima, forse nello stesso giorno, Gesù ha proprio parlato del granello di senape. Questo racconto della tempesta sedata è la conclusione del capitolo 4, in cui sono riportate tre parabole il cui protagonista è il seme della Parola di Dio; con queste parabole Gesù intende consegnare ai discepoli il “mistero del Regno di Dio” e invita a saper ascoltare e guardare, per poter vedere, comprendere ed essere salvati.
“Così com’era”: se fosse questo il seme nascosto da cui fiorisce la spiga? Se fosse, in questa piccola parola, nascosto il mistero? Se fosse questo il segreto che non può rimanere nascosto ma essere messo in luce?
“Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”, ci dice Gesù.
Tanto è assordante il rumore del vento e del mare, della paura, delle grida; tanto è assordante l’emozione che suscita questo racconto della tempesta, a cui la vita è quotidianamente sottoposta, con lo stupore arrabbiato di vedere Gesù che dorme su un cuscino! Tanto è assordante la delusione di sentirsi abbandonati in mezzo alla violenza del mare e della morte! Tanto è assordante lo stupore di una subitanea insperata salvezza venuta dalla potenza della parola del Maestro: “Chi è costui?”. E alle orecchie del cuore in subbuglio sfugge quella piccola parola: “Così com’era”.

Com’è difficile per me, per noi, essere così come sono, come siamo! Forse nemmeno in famiglia, con le persone con cui siamo in intimità, riusciamo ad essere come siamo. Cioè senza maschere, senza trucchi,  senza formalità e formalismi, senza titoli dai quali crediamo di ricevere dignità e ruolo e valore e prestigio e superiorità.

“Lo presero con sé, così com’era, sulla barca”.
Com’è commovente questa parola: lo presero con sé. Può suscitare in noi come un senso di santa invidia. Presero con sé Gesù sulla barca, nella loro vita. Lo presero così com’era, nella sua verità di Uomo, nella sua semplicità di Uomo Fratello che ha persino abbandonato madre e fratelli di sangue per donarsi come fratello a tutti coloro che hanno fame di senso e di vita e di verità e di amore. Uomo e Fratello, come loro stanco e bisognoso di riposo, come un bambino fragile che si consegna fiducioso alla loro perizia di marinai e alla loro premura di amici, che sulla barca non fanno mancare un cuscino.  Uomo consegnato nelle povere mani degli uomini, consegnato ai disagi, alle fatiche, ai pericoli, alla stanchezza e all’amicizia degli uomini. Consegnato alle loro paure e alle loro incomprensioni. Sì, consegnato anche alla loro incredulità, capace di stupire l’Uomo e Dio. Infine consegnato alla loro croce.

Lo presero così com’era, senza saper scorgere nell’Uomo la presenza del Dio vivente, che ha creato i cieli e la terra e il mare e quanto contengono.

Così com’era: forse è nascosto qui il mistero inaudito e insondabile e ineffabile del Dio fatto Carne, consegnato al limite della creatura, al suo dolore, alla sua paura, alle tempeste spaventose che ne sconvolgono, accompagnandola, la traversata della vita. Dio onnipotente nell’amore e per questo debole, Uomo. Tanto Dio da essere Uomo. Che ritrova la sua potenza per salvare i suoi amici e fratelli, ma che chiede la fede per non avere paura quando sulla barca in tempesta c’è lui che dorme. Tanto Dio da consegnarsi per sempre all’amore debole dell’umanità che ha scelto come grembo da cui fiorire e in cui riposare, da cui nascere e in cui essere sepolto, per trascinarla, così com’è, con sé, in quella culla della Vita che è l’Eterno Amore trinitario. E farle raggiungere l’altra riva, che inizia già là dove la vita è consegnata alla luce e alla lotta della fede.


martedì 9 giugno 2015

Un fuoco di paglia?

In febbraio 2002 quattro missionarie fummo impegnate nella missione popolare a S. Antonio Tortal (BL) – 700 m. di altitudine  in vista dei monti del Cadore - insieme con alcuni fratelli cappuccini provenienti dalla Parrocchia di S. Giuseppe Sposo a Bologna, a cui appartiene la nostra fraternità di via Guidotti. A parte il freddo e il ghiaccio che ogni mattina bisognava togliere dall'auto, fu un’esperienza molto positiva e interessante, per l’entusiasmo del Parroco di allora D. Francesco Prade e per la preziosa collaborazione degli animatori giovani e  adulti. Con alcuni di loro si sono mantenuti alcuni contatti, soprattutto quando ci hanno comunicato avvenimenti speciali: matrimoni, nascite e l’ordinazione sacerdotale di uno dei giovani. In particolare ci è rimasta impressa nel cuore la simpatica espressione di D. Francesco, che da qualche anno è andato a riposare in Dio: “È la nuova moderna missione”. Lui di missioni in parrocchia ne aveva fatte spesso con diversi gruppi di religiosi.

Con gioia e gratitudine, più di un anno fa, ci è giunta la richiesta di una nuova missione. Proprio gli animatori laici hanno proposto al nuovo parroco D. Egidio Dal Magro di ripetere l’esperienza della missione di cui sentivano il bisogno, per ridare nuova forza alla vita della comunità, che si trova ad affrontare, come altrove, mutate situazioni sociali e ecclesiali. Il Parroco ci ha confessato con semplicità di non aver mai fatto esperienza di missione popolare, ma uno degli animatori più impegnati, Ezechiele, è il fratello di D. Egidio e, con sua moglie Barbara, non hanno fatto fatica a convincerlo del valore dell’iniziativa. Gli altri animatori sono in parte i giovani di 13 anni fa, oggi sposati con figli. Figlio di Ezechiele e Barbara è don Marco, giovane animatore di allora che oggi è viceparroco in un paese non lontano.

Quando noi missionarie abbiamo incontrato il consiglio pastorale  abbiamo trovato una sorprendente disponibilità a cercare insieme metodi e iniziative per preparare la missione e per realizzarla. Bisogna notare che il D. Egidio è parroco a Trichiana (4000 abitanti) e a S. Antonio (1000 abitanti). La distanza tra i due paesi è 5 km di curve. Insomma il tempo che può dedicare a S. Antonio è limitato, nonostante il suo impegno: la gente è preoccupata che lavori troppo ed è grata per il suo servizio. In questa situazione, il consiglio pastorale, le catechiste, gli animatori dei giovani e tutti i collaboratori hanno capito che la vita della comunità è affidata, oltre che al servizio del Parroco, anche alla loro responsabilità di laici battezzati.
Potremmo dire che questa missione è stata una grande testimonianza dell’importanza della corresponsabilità dei laici nella vita della chiesa e nella sua missione evangelizzatrice.
Scherzando, abbiamo soprannominato Barbara “viceparroco”. Nonostante il suo lavoro presso la Scuola materna, ha avuto in mano l’organizzazione della visita alle famiglie e agli ammalati, distribuendo il lavoro alle missionarie, al missionario P. Rocco Nigro dehoniano e agli accompagnatori. Alcuni di questi hanno saputo mettere in atto strategie simpatiche e intelligenti per preparare la visita delle missionarie e predisporre le famiglie all’accoglienza. Tutti loro, alcuni più timidi, altri più intraprendenti, ci hanno testimoniato di aver vissuto un’esperienza forte, di essersi sentiti missionari, di aver imparato a conoscere di più le persone e le famiglie. Numerosi sono stati i centri di ascolto del Vangelo nelle famiglie, la sera. Molti di coloro che ospitavano hanno sentito viva la responsabilità di invitare vicini e conoscenti. Grazie a tutti loro, non ci sono state perdite di tempo, abbiamo lavorato intensamente.
Domenica 10 maggio, la missione si è aperta con il mandato missionario al mattino e con due momenti molto significativi e intensi nel pomeriggio: la processione con l’immagine della Madonna del Rosario cui è seguito il musical di bambini ragazzi e giovani, registe le catechiste. Titolo del musical il tema della missione che è anche il tema dell’anno pastorale diocesano: VA’ E FA’ USCIRE IL MIO POPOLO.

Mosè è stato inviato da Dio a liberare Israele e Gesù è venuto a liberarci dal peccato e dalla morte. I discepoli di Gesù sono ancora oggi inviati ad annunciare il Vangelo, buona notizia di amore e di libertà per tutti. E questo è lo scopo della missione: ridare slancio all'impegno missionario della comunità cristiana per il bene di ogni persona, dai piccoli, ai grandi, agli anziani, ai malati.
Naturalmente tutta la settimana di missione ha trovato vitalità nella celebrazione e nell’adorazione eucaristica quotidiane. Nonostante il temporale – unico in una settimana piena di sole – un gruppo di anziani ha partecipato alla celebrazione eucaristica in cui è stato amministrato anche il sacramento dell’Unzione.
Dopo gli incontri con i giovani, con alcune famiglie giovani e le confessioni del venerdì sera, il sabato numerosi sono stati i partecipanti all’adorazione eucaristica dalle 20 alle 24, nonostante che i giovani  fossero andati a vivere un’esperienza di comunione e di riflessione in montagna con il parroco. Quando già la chiesa si stava chiudendo, a mezzanotte, sono arrivati e hanno chiesto di fermarsi un po’ anche loro davanti all’Eucaristia. Veramente è stata una richiesta commovente, che Orielda ha subito esaudito, accompagnandoli nella preghiera.
Domenica 17, festa delle prime comunioni, al pomeriggio la missione si è conclusa con una partecipatissima assemblea parrocchiale in cui gli animatori, alcuni giovani e ragazzi hanno pubblicamente testimoniato la ricchezza dell’esperienza vissuta e espresso desideri propositi e suggerimenti per il cammino futuro della comunità.


Noi missionarie, per bocca di Orielda, che ha accompagnato la preparazione della missione, abbiamo dato la nostra testimonianza, espresso la gratitudine al Signore e a tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di questa esperienza d fede, di spiritualità, di missionarietà ecclesiale. Abbiamo anche lasciato alcuni suggerimenti e incoraggiato un cammino sempre più responsabile e generoso.



Una missione popolare non è un toccasana. Non risolve tutti i problemi della comunità. Non si fa una volta per tutte. E non è vero che sia un fuoco di paglia. Soprattutto se non è affidata solo ai missionari, ma esige l’impegno condiviso tra missionari e laici della parrocchia. È un’esperienza ecclesiale che rinnova il cammino, ridà slancio, intensifica la vita di fede, impegna a una revisione e spinge a un rinnovamento. La quotidianità rischia di far appassire la fede e l’esperienza ecclesiale. O di stressarla. La missione è come gli esercizi spirituali. Il Papa per primo li vive ogni anno. Certo una missione non si fa una volta l’anno, ma ci sono comunità che sentono spesso il bisogno di ravvivarsi.