domenica 29 novembre 2015

Facciamo sul serio


Oggi. Inizia il tempo di avvento: com’è banale continuare  a chiamarlo “preparazione al Natale”.
Oggi. Inizia la novena di preparazione alla solennità dell’Immacolata Concezione di Maria: come sono banali i nostri modi devozionali.
Oggi. Il Papa, a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, apre la Porta Santa: l’anno santo straordinario della misericordia inizia, in anticipo sul calendario, in una terra martoriata dalla povertà , dallo sfruttamento, dalle violenze, dalla guerra civile. Parla ai poveri, il Papa, comincia da loro, parla ai rifugiati, nella parrocchia di Saint Sauveur, e li coinvolge nell’annuncio della pace e della fratellanza. Comincia dalle periferie. E va ad aprire l’anno della misericordia nel cuore delle ingiustizie e della guerra.
Come riesce a non essere mai banale quest’uomo, Francesco.

Comincia con un Vangelo difficile questo tempo di avvento, un brano dell’evangelista Luca, chiamato l’evangelista della misericordia, che mette paura. Un linguaggio duro, oscuro, che non riusciamo, nonostante tante esegesi, a intendere.  Sì,  Gesù stesso, in questo brano, parla di paura e usa il linguaggio – per noi ostico- chiamato apocalittico. E i tempi oscuri, insensati e violenti, che stiamo vivendo, tempi in cui pare che l’impegno più serio di tanti sia quello di coltivare la separazione, il sospetto, la contrapposizione, la polemica, l’odio, lo scontro, la guerra, la violenza, infine la solitudine e la paura, questi tempi ci fanno sentire più duro il Vangelo… una parte del Vangelo di oggi. E ci sfugge il cuore: “quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la  vostra liberazione è vicina”. E poi Gesù ci dice come vivere, in queste circostanze, cosa significa risollevarsi e alzare il capo.  Ma noi siamo distratti e banali. Soffochiamo nella banalità, nella superficialità. E in fondo ci è più comoda la paura.

E intanto Francesco, dopo i giorni in Kenya e in Uganda, dà inizio all’avvento e all’anno della misericordia, in Centrafrica.  Sta davvero facendo l’esegesi incarnata del Vangelo che oggi, banalmente, proclamiamo  ascoltiamo e tentiamo di decifrare nelle nostre messe festive. Non so cosa dirà nell’omelia della messa di oggi. So che, vedendolo e ascoltandolo, in questi giorni e soprattutto oggi, la sua omelia, fatta di vita concreta, di scelte radicali e difficili, sorprendenti e rischiose, profetiche, la sua omelia è chiarissima. Fin troppo. È un’omelia scomoda, quella che il papa oggi ci propina. Non si tratta delle nostre banali riflessioni. Delle nostre banali preghiere e emozioni.  È terribilmente scomoda, difficile, urtante, questa omelia che Francesco sta vivendo e gridando in questa prima domenica di avvento 2015. È terribilmente scomodo, difficile, urtante questo anno giubilare della misericordia che Francesco apre oggi in Africa. Come è scomoda, difficile, urtante la pagina di Vangelo di oggi.
Cominceremo a cercare, dentro di noi e nelle nostre famiglie e comunità, un qualche modo concreto, vitale, scomodo, di incarnare il Vangelo dell’avvento e l’anno della misericordia? Un modo di lasciarci illuminare gli occhi e la vita? O ci accontenteremo di qualche pellegrinaggio… non a Roma perché è pericoloso?
Se abbiamo ancora paura solo degli attentati terroristici, significa che ancora non ci siamo accorti dei segni nel sole, nella luna e nelle stelle… non ci siamo accorti di quanto più deflagrante e rivoluzionaria è la forza debole e  pacifica della Parola evangelica.
Vogliamo deciderci a ripetercela, gli uni con gli altri, come fa fare Francesco alle folle che incontra, e a cercare insieme la forza e la possibilità di renderla carne? Che senso ha, altrimenti, venerare l’Immacolata Madre di Dio? Ci guidi lei, con il suo coraggio, a fare sul serio.

domenica 27 settembre 2015

Chi è il proprietario?


xxv domenica T.O.
Num 11,25-29
Sl 18
Gc 5,1-6
Mc 9,38-43.45.47-48

Lo Spirito è libero: Gesù dice che è come il vento. Lo Spirito è Dio: nessuno può appropriarsene.
Eppure è così facile che ci si creda proprietari dello Spirito! O almeno privilegiati destinatari del suo soffio, della sua sapienza, del suo potere.
E che l’errore (peccato?) di credersi proprietari o privilegiati destinatari dello Spirito sia più facile per coloro che hanno ruoli di responsabilità nelle comunità cristiane, ce lo dimostra proprio il discepolo-apostolo Giovanni, colui che chiamiamo il discepolo prediletto, l’amato.
E Gesù, con una spiegazione estremamente semplice, lo disillude, gli chiarisce le idee, o meglio gli apre gli occhi sulla realtà: lo Spirito non è appannaggio di nessuno, neppure degli apostoli, ma è dono. A ciascuno di noi è chiesto solo di rispondere con fede al dono immeritato. Chi compie le opere di Gesù può farlo solo perché lo Spirito agisce in lui attraverso la fede. Chi non è contro di noi è per noi.
Come apre il cuore questa parola,  alla fiducia, alla speranza, alla fratellanza. Se lasciamo che lo Spirito purifichi il nostro sguardo, ogni giorno, possiamo vedere il suo agire libero e buono in tante persone, in tante realtà umane, oltre che in tutto il creato e nella storia.
Come anche, sempre attraverso lo Spirito, ci è dato di riconoscere il male, anche quando è nascosto o mascherato.
Illudersi di essere i proprietari dello Spirito è un male nascosto, mascherato. È un ostacolo, una pietra d’inciampo, uno scandalo, che rende difficile o forse anche impossibile il cammino dei piccoli, che non sono solo i bambini, ma tutte le persone che desiderano il bene e, se gli fosse data la possibilità, seguirebbero Gesù.
 Gesù ci mette in guardia: discepoli e apostoli devono lasciarsi purificare dall’occhio del giudizio, dalla mano del potere e della separazione, dal piede della superbia, altrimenti diventano ostacolo al cammino dei piccoli, che poi sono la stragrande maggioranza dell’umanità e del popolo di Dio. Sono quelli che Dio sceglie perché li ama. E il compito dei pastori è proprio quello di essere strumento perché lo Spirito si diffonda su ogni persona.

MICHELANGELO BUONARROTI, Mosè

“Fossero tutti profeti nel popolo di Dio!”: come è  grande questo desiderio di Mosè, come è di Dio! Gesù è venuto ed è morto sulla croce, ci ha lasciato il suo corpo sacrificato e il suo sangue sparso proprio perché ogni persona venga raggiunta dallo Spirito e diventi profeta, capace di vedere l’umanità con  gli occhi e il cuore di Dio, capace di dire all’umanità la Parola di Dio.

Lo Spirito è in Gesù, nel suo cuore. E Gesù non ha voluto tenere per se quello Spirito che è Signore e dà la Vita, quello Spirito che solo può dare gioia e pace e amore. Ha voluto diffonderlo sull’umanità e per questo ha lasciato che il suo cuore fosse trafitto sulla croce e ne sgorgasse sangue e acqua.
Lo stesso discepolo Giovanni, che un giorno voleva impedire l’agire dello Spirito, sotto la croce, per primo, insieme alla Madre,  riceve il Dono e ne diventa testimone annunciatore:  Colui che ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate (Gv  19, 35).

La missione evangelizzatrice di ogni battezzato e di tutto il popolo di Dio nasce proprio dal desiderio del cuore di Cristo che diventa nostro desiderio: su tutti, attraverso l’annuncio della Parola che suscita la fede, sia diffuso, attraverso i sacramenti, lo Spirito di amore e di santità, che ci rende tutti unica Famiglia di Dio.


La condanna che l'apostolo Giacomo minaccia ai ricchi, che hanno confidato nei loro possessi sfruttando e lasciando nell'indigenza i "piccoli", potrebbe forse essere rivolta anche a chi crede di avere l'esclusiva dello Spirito, della fede, della salvezza?
Qualunque ricchezza non condivisa può diventare causa della nostra condanna.
Lo Spirito ci purifichi e ci converta, perché ogni dono che abbiamo ricevuto non sia nostra proprietà esclusiva, ma come Gesù possiamo farci pane per ogni fame.