domenica 13 aprile 2014

Impigliata in un mantello...

GIOTTO, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, Padova, Cappella degli Scrovegni


Domenica delle Palme
Processione  -   Mt 21, 1-11

Celebrazione eucaristica
Is 50,4-7
Sl 21
Fil 2, 8-11
Mt 26,14-27,66

Mi sono fermata a osservare l'affresco di Giotto e mi ha sorpreso la figura - sembra femminile - nell'angolo destro, in basso: è inchinata davanti a Gesù che sta avvicinandosi cavalcando un asino, ma ha la testa e il volto coperti da un mantello, il suo stesso mantello. Un ragazzo, vicino a lei, alza sorridendo un ramo di ulivo. I volti degli altri esprimono stupore e attesa, mentre i volti degli apostoli appaiono un po' stupiti e un po' pensierosi.
Perché quel volto coperto da un mantello? Il ragazzo davanti stende il suo mantello sotto i piedi dell'asino. Forse questa persona voleva fare lo stesso, ma è come rimasta impigliata nel suo mantello?
Perché quel volto coperto da un mantello che doveva servire a rendere omaggio al Messia Re?

La domenica delle Palme: inizia la settimana santa, la grande settimana del Mistero Pasquale. Da oggi a Pasqua - domenica prossima - è quasi come un'unica celebrazione, che trova culmine nel Sacro Triduo.
La domenica delle Palme: festa così carica di simboli e di tradizioni... Stessa cosa il Venerdì Santo... Sembra che tutto il senso e il significato salvifico della Settimana Santa si esauriscano in questi due giorni. Sono quelli che, nella tradizione, si sono più caricati di emotività: le Palme, la pace... il Venerdì, il dolore, la morte, lo strazio della madre....
Tutte emozioni e cumuli di tradizioni... 

E Gesù, nelle celebrazioni di questa settimana, tenta di avvicinarsi a noi-Chiesa, a noi-Città Santa, a noi-discepoli. Per strapparci dalla morte, entrando lui nella nostra morte, per trarcene fuori. Gesù tenta ancora, nelle celebrazioni di questa settimana, di conquistarci all'Amore, di immergerci nel Mistero Pasquale dell'Amore che salva, che libera, che risuscita.

Chissà se Giotto, in quella persona nascosta nel suo stesso mantello, ha voluto raffigurare quei discepoli che pur avevano creduto in Gesù, dice il Vangelo di Giovanni, davanti al Mistero dell'amore abbagliante di Dio, restano come accecati, incapaci di guardare con vera fede, di lasciarsi coinvolgere, di entrare in vera comunione con il Figlio di Dio, che a Gerusalemme entra nella sua passione, nella lotta dell'amore. 
Chissà se, nella figura coperta dell'affresco giottesco, non dobbiamo ravvisare noi stessi, noi Chiesa di oggi, noi discepoli, sedicenti credenti e praticanti - almeno a Pasqua!
Noi, così presi dal rispetto delle tradizioni, noi che sappiamo tutto da sempre sulla passione di Gesù, noi così impegnati nei preparativi dei festeggiamenti pasquali, da non poter ascoltare e contemplare la Verità, così luminosa e accecante, così affascinante e sconvolgente, così evidente e pure nascosta, così attraente e temibile: il Mistero Pasquale di Gesù, il Cristo, il Figlio amato CONSEGNATO all'umanità.
Il Mistero, dunque, non il racconto di  una storia edificante e commovente, non una rappresentazione, non una meditazione ragionevole e comprensibile. Il Mistero, dunque un'ESPERIENZA da vivere in una comunione profonda e sempre nuova, mai già saputa, mai scontata.  
Una vita non basta per ascoltare e lasciarsi ferire nel profondo del cuore - e trasformare la vita - dalla Parola di Dio che oggi la liturgia ci offre!

Crediamo di festeggiare Gesù e di esprimere così la fede, ma come la figura dell'affresco di Giotto, rischiamo di restare impigliati e incappucciati in quelle stesse tradizioni con le quali crediamo di rendere omaggio a Dio.
Il nostro stesso mantello di cristiani e di Chiesa (cristiani e chiesa nel mantello!) può diventare la benda che nasconde il nostro volto a Gesù e il volto di Gesù a noi... il volto di tanti uomini e donne, nostri fratelli e sorelle... mentre egli entra - senza che ci lasciamo conquistare e coinvolgere - nel Mistero d'Amore della sua Passione, Morte e Risurrezione.
Per noi! 
Per te, per me, perché diventiamo NOI: NOI CHIESA, NOI UMANITA' SALVATA DALL'INDIFFERENZA, DALL'INDIVIDUALISMO, DALLA GELOSIA, DALL'ODIO, DALLA MORTE.
Non quelli che ascoltiamo al telegiornale, ma quelli che trovano alloggio in casa nostra... e forse il mantello ci impedisce di vedere...




domenica 6 aprile 2014

L'amore, la gioia, la vita, la libertà


GIOTTO, Risurrezione di Lazzaro, Cappella degli Scrovegni, Padova


V Domenica di Quaresima A
Ez 37,12-14
Sl 129
Rm 8,8-11
Gv 11,1-45

All'inizio del Vangelo di Giovanni, una donna - la madre di Gesù - si accorge e gli riferisce che, nella festa di nozze a cui stanno partecipando, è venuta a mancare la gioia (il vino) che invece dovrebbe straripare: che festa è senza gioia, che nozze sono senza gioia?
E a quella festa dell'amore, Gesù - Dio fatto uomo per amare con amore sponsale l'umanità - provvede a far ritornare abbondante la gioia: circa 600 litri di vino buono come anticipo e profezia di quel vino buono, inebriante di gioia vera, che sarà il suo sangue versato per la comunione totale d'amore con lui.
Quando si avvicina la conclusione drammatica della sua missione in terra, due donne comprendono che "colui che Gesù ama" è malato, ha perso la salute e rischia di perdere la vita. E glielo mandano a dire. Chiedono a lui guarigione e vita.
L'umanità che Gesù ama è malata di malattia mortale: da sempre. Ciascuno di noi, malati di peccato.
Davanti alla tomba dell'amico morto - l'amico che egli ama - Gesù scoppia a piangere: è un pianto doloroso, davanti alla nemica omicida, negazione dell'amore, che distrugge la vita creata da Dio, amata da Dio. E solo l'amore può sconfiggerla. Perciò Gesù chiama fuori dalla morte l'amico, per entrare lui stesso dentro quella tomba. Proprio perché risuscita Lazzaro, Gesù viene condannato a morte. Questo è l'amore. Di questo scambio è capace l'amore di Dio.
Ma Dio non salva da solo. Gesù ama Lazzaro, ma anche le sorelle Marta, Maria e insegna a loro ad amare, perché la salvezza - gioia, vita e libertà - viene dall'imparare ad amare come lui. Chiede a loro di togliere la pietra. Evidentemente - come mostra Giotto - le sorelle si fanno aiutare da altri: tutta la comunità, quando ascolta la parola di Gesù presente in mezzo ad essa, deve collaborare con lui a trarre un amico dalla morte, ad aprire la tomba.
E infine, obbedendo alla sua parola d'amore, deve liberarlo e lasciarlo andare. 
L'amore vero non afferra, non imprigiona, non lega l'amico, l'amato. E non attende riconoscimento, neppure ringraziamento. 
L'amore di Gesù (l'Amore!) dona gioia vita e libertà, che non stanno mai l'una senza l'altra. E insegna a coloro che credono in lui ad amare allo stesso modo: "Liberatelo e lasciatelo andare".
Alcuni credono, ma ciò che Gesù riceve in cambio della vita ridonata a Lazzaro è la morte.
E l'amore del Padre lo libererà e lo lascerà andare.