domenica 31 agosto 2014

La verità in faccia a noi poveri illusi

XXII domenica del Tempo Ordinario
Ger 20,7-9
Sl 62
Rm 12,1-2
Mt 16,21-27

Troppo diverso da noi, Gesù...
Come Simon Pietro ci lasciamo attirare, affascinare...
Già era successo a Geremia, poveretto! Sedotto, e tradito, secondo lui.
Ma non è vero. Forse nel tempo di Geremia non era ancora molto chiaro, ma poi Gesù è venuto a dircela in faccia la verità. Il problema sta nella nostra testardaggine, che continua a volersi illudere che Dio è quello che pensiamo noi e non Chi dice Lui.
Il fatto è che siamo sempre sottoposti alla stessa illusione delle origini (lo chiamiamo peccato originale). Ci piace pensare che Dio sta da Dio e vogliamo stare come lui.
Gesù, invece, è un Dio che vuole stare da uomo - che pazzia!-. E poiché il dolore è l'eredità umana - con tutta la fragilità, la contraddizione, il fallimento, la morte - egli si prende tutto questo perché, amandoci, vuole diventare nostro consorte! Già. Ci sposa e fa sua la nostra eredità.
Non c'è dunque via di scampo. Non c'è scelta.
Se pure Dio sceglie di essere uomo, per noi non c'è altra via che la sua.
Ma non ci piace e vogliamo continuare a illuderci.
Come Simon Pietro continuiamo a illuderci che se stiamo con lui, possiamo dormire tranquilli... E invece è guerra, quella più difficile, quella che non si risolve con nessun intervento diplomatico. E' guerra all'ultimo sangue. Fino all'ultimo giorno. La più terribile. Quella contro di me. 
Contro il bisogno insaziabile - tragica illusione - di essere il centro del mondo, di dover attirare l'attenzione di tutti, di aver diritto a ricevere, ad essere amato. E si diventa un pozzo senza fondo. Più attenzione e più amore si riceve e più ci si convince di non aver ricevuto sufficientemente. E si apre una mano a donare per aprirne mille per afferrare. Ed è sempre poco... poco... poco... perché si ha diritto a di più.... di più.... E ci si condanna all'infelicità. Quella che uccide.
Più si vuole dare soddisfazione ai propri bisogni, più si scende nel sepolcro. "Chi vuole salvare la propria vita la perde", dice Gesù. 
E noi, illusi, incapaci di aprire gli occhi sulla realtà, ci facciamo mille riflessioni "spirituali" ed emotive nel cercare di capire che cosa Gesù ci voglia dire.
E si va a messa e si ascoltano chiacchiere di preti in difficoltà a cogliere e ad annunciare una verità così vera e così difficile da accettare. Ma non c'è altra vita. La scelta è una sola.
E la messa contraddice e giudica inesorabilmente la nostra vita, ma continuiamo a illuderci di essere dalla parte di Dio, perché siamo stati  a messa.
Ma la messa è una Vita Perduta per causa nostra.

RUPNIK M., La Madre di Dio che indica il pane spezzato sul costato di Cristo
Chiesa della Nostra Signora del SS. Sacramento e SS. Martiri Canadesi, Roma 


E noi ci andiamo per non perdere, per afferrare: afferrare Dio, afferrare la nostra vita, afferrare la salvezza, afferrare la santità, afferrare...
Sordi e illusi: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!
Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso".
Il luogo più pericoloso dove andare oggi: la celebrazione eucaristica. Se ce ne rendessimo conto!

E comunque non abbiamo altra scelta, come Geremia.


domenica 22 giugno 2014

Questione di carne e sangue


Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
Dt 8,2-3.14b-16a
Sl 147
1Cor 10,16-17
Gv 6, 51-58


Se l’Eucaristia riuscisse ancora a scandalizzarci, come scandalizzò i contemporanei di Gesù che lo ascoltavano a Cafarnao, chissà, forse avremmo una possibilità di convertirci alla Vita Cristiana, che è  comunione con Dio attraverso la comunione con la carne  e il sangue di Cristo, uomo-Dio. Comunione, cioè unione sponsale: diventare una sola carne con Dio. E da lì arrivare ad una unione di desideri, di sentimenti, di volontà, di scelte, di impegno, di donazione. E generare vita. Perché quando un uomo e una donna diventano una carne sola generano vita. E gioia. E l’amore si diffonde.

Diversamente dai giudei, noi siamo riusciti a non scandalizzarci e a rendere innocua la Parola suprema: “Se non masticate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita”. È stato facile: ne abbiamo fatto un rito. E il più delle volte possiamo farne  a meno. Cosa sarà peggio: l’indifferenza o lo scandalo?

Non possiamo dare a Dio l’anima e tenerci il corpo. Perché Dio, per amarci, per darci il suo Spirito, ha scelto un corpo, una carne umana: la carne e il sangue di Gesù.
Possiamo dare a Dio l’anima solo attraverso una unione di corpo e sangue con Lui. Allora non ‘è pensiero, non c’è conoscenza di Dio e dell’umanità, non c’è valore, non c’è scelta, non c’è dolore o gioia, non c’è comportamento, non c’è parola che possano restare estranei a questa comunione di carne e sangue, di vita reale.

La nostra fede cristiana, in effetti, è sempre in bilico tra due rischi.
Il rischio che diventi idolatria: adoro l’eucaristia unicamente come “reliquia” di Gesù, come una benedizione per me, come uno strumento per il mio bene e la mia santità, per la salvezza della mia anima.
E il rischio che la nostra “cristianità” diventi molto spesso un’illusione, un inganno. Abbiamo deciso che la fede riguarda l’anima: diamo a Dio i riti, diciamo le parole delle innumerevoli preghiere. Ma abbiamo deciso che il corpo è cosa di questa terra, è cosa materiale, con la quale Dio non c’entra e ce ne siamo appropriati, come cosa solo nostra e ne facciamo scempio, commercio, involucro luccicante e vuoto, strumento di inganno, di ingiustizia, di egoismo, di violenza… di morte.

E tutte le nostre messe e comunioni sembrano diventare inutili in una società che sembra senza speranza, perché senza amore. E di conseguenza diminuiscono ogni giorno, a vista d’occhio, quelli che partecipano all’Eucaristia. È la comunità, la chiesa che celebra l’eucaristia; ma noi non siamo chiesa, siamo individui che vanno a cercare Dio e per questo ognuno ci va quando vuole, quando si sente, quando da solo non ce la fa più…. ma quale idolo stiamo cercando? E quale risposta può darci?

Oggi, festa del Corpo e Sangue di Dio! Faremo le processioni con l’Eucaristia.
Potessimo davvero ADORARE! Cioè portarci la mano alla bocca per lo stupore, nel contemplare un amore che è dono totale, che è Corpo sacrificato e Sangue versato per non tradire la verità che è l’amore.
ADORARE! Cioè riconoscere con gli occhi e con il cuore che Dio non ha pensato anzitutto a se stesso, alla sua gloria, al suo potere, alla sua dignità, alla sua comodità, alla sua salvezza, ma si è letteralmente fatto a pezzi per la nostra dignità, la nostra gloria, la nostra salvezza. La mia e la nostra. Non potrà esserci mia salvezza se non sarà nostra: l’Eucaristia è la legge del NOI.
Potessimo davvero ADORARE! Cioè lasciarci trafiggere il cuore e convertire dal mistero d’amore, di solidarietà, di dono che è il Corpo sacrificato e il Sangue versato di Cristo Dio! Questo mistero è in quel Pane che adoriamo, che postiamo in processione per professare e confessare la nostra fede, che deve manifestarsi nella nostra carne.
Non potrà salvarsi la nostra anima se non insieme alla nostra carne. Non potrà salvarsi la “mia” carne se non insieme alla carne degli uomini e delle donne del nostro mondo.

"Oggi lo confessiamo con lo sguardo rivolto al Corpus Domini, al Sacramento dell'altare. E per questa fede, noi rinunciamo a satana e a tutte le sue seduzioni: rinunciamo agli idoli del denaro, della vanità, dell'orgoglio, del potere, della violenza. Noi cristiani non vogliamo adorare niente e nessuno in questo mondo se non Gesù Cristo, che è presente nella santa Eucaristia. Forse non sempre ci rendiamo conto fino in fondo di ciò che significa questo, di quali conseguenze ha, o dovrebbe avere, questa nostra professione di fede" (Papa Francesco, 21 giugno 2014, nella Piana di Sibari) 

domenica 15 giugno 2014

Gioia della Bellezza




La gioia cristiana è nel consegnarsi  a un Dio che è famiglia. Una famiglia feconda.
La gioia cristiana è nel contemplare nella famiglia l’immagine vera del Dio che è famiglia.
L’amore - un amore fatto di carne, non di pensieri, di filosofia, di emozioni - è la radice dell’esistenza umana, la prima esperienza di vita che ci è data. Siamo generati nell’amore, un amore di carne e sangue.
La carne e il sangue che un uomo e una donna si scambiano. La carne e il sangue che una donna offre alla persona generata nel suo seno.
Da sempre, dal primo istante di esistenza so che cos’è l’amore.
Dal primo istante di esistenza in me è scritto l’amore come marchio di fuoco, incancellabile. L’immagine di Dio Amore. Il Dio Amore che vedo nella famiglia umana, generata nell’amore umano.

La gioia cristiana è nel poter contemplare la bellezza di Dio famiglia.


El Greco, Trinità


Gioisco della tua bellezza, o Padre del Figlio Gesù. Della tua bellezza che è il tuo nome: Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. Non è l’amore e la fedeltà il desiderio più profondo del mio cuore? Quell’amore e quella fedeltà così piccoli e pure così prepotenti in me, quell’amore e quella fedeltà che sono la lotta, la povertà e la ricchezza, la ricerca e la sete, il dolore e la gioia di ogni istante? E in mezzo alle rughe del mio cuore e alle povertà della mia carne scopro la bellezza inesauribile del tuo volto, o Babbo - Abbà, in cui ogni paternità ha origine in cielo e in terra! La bellezza del tuo volto di Babbo, tenero e perciò esigente, paziente e perciò luminoso di speranza, amante e perciò ferito dal sorriso e dalle lacrime. Libero di imprigionarsi nelle catene eterne dell’amore.

Gioisco della tua bellezza, o Figlio del Padre, Signore Gesù. Gioisco di scoprire in te, nella tua carne e nel tuo sangue, la mia carne e il mio sangue, quello di una Donna, Maria di Nazaret. Gioisco della tua bellezza di Fratello mio, Fratello nostro, Gesù, Figlio dello stesso Padre e di Maria. Gioisco della tua bellezza di Figlio, perché anch’io sono figlia. Cos’è essere figlio se non essere piccolo, ricevuto e consegnato, amato e portato tra le braccia? Nella tua carne crocifissa e nel tuo sangue sparso scopro e contemplo ineffabilmente la bellezza di essere figlio, in te, con te. Perché quando sono ferita, abbandonata, spaventata, sofferente, là arriva la tenerezza e l’abbraccio sicuro e forte del Babbo, che piange e sorride con me  e con te. E prepara la risurrezione, la vittoria, la libertà. Gioisco della tua bellezza, o Figlio Gesù, Fratello, perché in te, nei tuoi occhi e nelle tue mani, nel tuo cuore di carne, nei tuoi pensieri e nei tuoi sentimenti umani e divini, scopro la bellezza di essere sorella, la bellezza di non essere sola.

Gioisco della tua bellezza, o Amore del Padre e del Figlio, che li unisci e li rendi grembo fecondo da cui sgorgano figli amati nell’Amato: NOI UMANITÀ, NOI CHIESA. Non è bene che l’uomo sia solo, perché Dio è famiglia, è amore. Gioisco della tua bellezza, o Amore che unisci e apri, che generi nascostamente ogni vita, che respiri umilmente in me e in noi, che accarezzi con il respiro dell’aria, che  guidi con la mitezza forte della Luce della Parola, che curi e vivifichi con il Sangue e la Carne dell’Agnello immolato e vivente in eterno.

Eccomi, Bellezza Trinitaria nascosta e rivelata, potente e debole della potenza e della debolezza dell’Amore.
Eccomi. Bellezza Trinitaria che ha tanto amato il mondo, da non arrendersi al rifiuto e al tradimento, all’oblio e all’odio. Eccomi, Bellezza Trinitaria, invincibile, perché crocifissa e risorta, Famiglia Divina, ricca di amore e di fedeltà.


domenica 13 aprile 2014

Impigliata in un mantello...

GIOTTO, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, Padova, Cappella degli Scrovegni


Domenica delle Palme
Processione  -   Mt 21, 1-11

Celebrazione eucaristica
Is 50,4-7
Sl 21
Fil 2, 8-11
Mt 26,14-27,66

Mi sono fermata a osservare l'affresco di Giotto e mi ha sorpreso la figura - sembra femminile - nell'angolo destro, in basso: è inchinata davanti a Gesù che sta avvicinandosi cavalcando un asino, ma ha la testa e il volto coperti da un mantello, il suo stesso mantello. Un ragazzo, vicino a lei, alza sorridendo un ramo di ulivo. I volti degli altri esprimono stupore e attesa, mentre i volti degli apostoli appaiono un po' stupiti e un po' pensierosi.
Perché quel volto coperto da un mantello? Il ragazzo davanti stende il suo mantello sotto i piedi dell'asino. Forse questa persona voleva fare lo stesso, ma è come rimasta impigliata nel suo mantello?
Perché quel volto coperto da un mantello che doveva servire a rendere omaggio al Messia Re?

La domenica delle Palme: inizia la settimana santa, la grande settimana del Mistero Pasquale. Da oggi a Pasqua - domenica prossima - è quasi come un'unica celebrazione, che trova culmine nel Sacro Triduo.
La domenica delle Palme: festa così carica di simboli e di tradizioni... Stessa cosa il Venerdì Santo... Sembra che tutto il senso e il significato salvifico della Settimana Santa si esauriscano in questi due giorni. Sono quelli che, nella tradizione, si sono più caricati di emotività: le Palme, la pace... il Venerdì, il dolore, la morte, lo strazio della madre....
Tutte emozioni e cumuli di tradizioni... 

E Gesù, nelle celebrazioni di questa settimana, tenta di avvicinarsi a noi-Chiesa, a noi-Città Santa, a noi-discepoli. Per strapparci dalla morte, entrando lui nella nostra morte, per trarcene fuori. Gesù tenta ancora, nelle celebrazioni di questa settimana, di conquistarci all'Amore, di immergerci nel Mistero Pasquale dell'Amore che salva, che libera, che risuscita.

Chissà se Giotto, in quella persona nascosta nel suo stesso mantello, ha voluto raffigurare quei discepoli che pur avevano creduto in Gesù, dice il Vangelo di Giovanni, davanti al Mistero dell'amore abbagliante di Dio, restano come accecati, incapaci di guardare con vera fede, di lasciarsi coinvolgere, di entrare in vera comunione con il Figlio di Dio, che a Gerusalemme entra nella sua passione, nella lotta dell'amore. 
Chissà se, nella figura coperta dell'affresco giottesco, non dobbiamo ravvisare noi stessi, noi Chiesa di oggi, noi discepoli, sedicenti credenti e praticanti - almeno a Pasqua!
Noi, così presi dal rispetto delle tradizioni, noi che sappiamo tutto da sempre sulla passione di Gesù, noi così impegnati nei preparativi dei festeggiamenti pasquali, da non poter ascoltare e contemplare la Verità, così luminosa e accecante, così affascinante e sconvolgente, così evidente e pure nascosta, così attraente e temibile: il Mistero Pasquale di Gesù, il Cristo, il Figlio amato CONSEGNATO all'umanità.
Il Mistero, dunque, non il racconto di  una storia edificante e commovente, non una rappresentazione, non una meditazione ragionevole e comprensibile. Il Mistero, dunque un'ESPERIENZA da vivere in una comunione profonda e sempre nuova, mai già saputa, mai scontata.  
Una vita non basta per ascoltare e lasciarsi ferire nel profondo del cuore - e trasformare la vita - dalla Parola di Dio che oggi la liturgia ci offre!

Crediamo di festeggiare Gesù e di esprimere così la fede, ma come la figura dell'affresco di Giotto, rischiamo di restare impigliati e incappucciati in quelle stesse tradizioni con le quali crediamo di rendere omaggio a Dio.
Il nostro stesso mantello di cristiani e di Chiesa (cristiani e chiesa nel mantello!) può diventare la benda che nasconde il nostro volto a Gesù e il volto di Gesù a noi... il volto di tanti uomini e donne, nostri fratelli e sorelle... mentre egli entra - senza che ci lasciamo conquistare e coinvolgere - nel Mistero d'Amore della sua Passione, Morte e Risurrezione.
Per noi! 
Per te, per me, perché diventiamo NOI: NOI CHIESA, NOI UMANITA' SALVATA DALL'INDIFFERENZA, DALL'INDIVIDUALISMO, DALLA GELOSIA, DALL'ODIO, DALLA MORTE.
Non quelli che ascoltiamo al telegiornale, ma quelli che trovano alloggio in casa nostra... e forse il mantello ci impedisce di vedere...




domenica 6 aprile 2014

L'amore, la gioia, la vita, la libertà


GIOTTO, Risurrezione di Lazzaro, Cappella degli Scrovegni, Padova


V Domenica di Quaresima A
Ez 37,12-14
Sl 129
Rm 8,8-11
Gv 11,1-45

All'inizio del Vangelo di Giovanni, una donna - la madre di Gesù - si accorge e gli riferisce che, nella festa di nozze a cui stanno partecipando, è venuta a mancare la gioia (il vino) che invece dovrebbe straripare: che festa è senza gioia, che nozze sono senza gioia?
E a quella festa dell'amore, Gesù - Dio fatto uomo per amare con amore sponsale l'umanità - provvede a far ritornare abbondante la gioia: circa 600 litri di vino buono come anticipo e profezia di quel vino buono, inebriante di gioia vera, che sarà il suo sangue versato per la comunione totale d'amore con lui.
Quando si avvicina la conclusione drammatica della sua missione in terra, due donne comprendono che "colui che Gesù ama" è malato, ha perso la salute e rischia di perdere la vita. E glielo mandano a dire. Chiedono a lui guarigione e vita.
L'umanità che Gesù ama è malata di malattia mortale: da sempre. Ciascuno di noi, malati di peccato.
Davanti alla tomba dell'amico morto - l'amico che egli ama - Gesù scoppia a piangere: è un pianto doloroso, davanti alla nemica omicida, negazione dell'amore, che distrugge la vita creata da Dio, amata da Dio. E solo l'amore può sconfiggerla. Perciò Gesù chiama fuori dalla morte l'amico, per entrare lui stesso dentro quella tomba. Proprio perché risuscita Lazzaro, Gesù viene condannato a morte. Questo è l'amore. Di questo scambio è capace l'amore di Dio.
Ma Dio non salva da solo. Gesù ama Lazzaro, ma anche le sorelle Marta, Maria e insegna a loro ad amare, perché la salvezza - gioia, vita e libertà - viene dall'imparare ad amare come lui. Chiede a loro di togliere la pietra. Evidentemente - come mostra Giotto - le sorelle si fanno aiutare da altri: tutta la comunità, quando ascolta la parola di Gesù presente in mezzo ad essa, deve collaborare con lui a trarre un amico dalla morte, ad aprire la tomba.
E infine, obbedendo alla sua parola d'amore, deve liberarlo e lasciarlo andare. 
L'amore vero non afferra, non imprigiona, non lega l'amico, l'amato. E non attende riconoscimento, neppure ringraziamento. 
L'amore di Gesù (l'Amore!) dona gioia vita e libertà, che non stanno mai l'una senza l'altra. E insegna a coloro che credono in lui ad amare allo stesso modo: "Liberatelo e lasciatelo andare".
Alcuni credono, ma ciò che Gesù riceve in cambio della vita ridonata a Lazzaro è la morte.
E l'amore del Padre lo libererà e lo lascerà andare.

mercoledì 19 marzo 2014

Il silenzio e la Parola


MENGS ANTON RAPHAEL, Sogno di San Giuseppe

Solennità di San Giuseppe
2Sam 7,4-5a.12-14a.16
Sl 88
Rm 13.16-18.22
Mt 1,16.18-21.24a

"Uomo giusto" è l'appellativo straordinario con cui la Scrittura parla di te, Giuseppe di Nazaret. Mi chiedo in che cosa consista la tua giustizia. E l'apostolo Paolo dichiara, rifacendosi ad Abramo, che la vera giustizia sta nella fede. Abramo, "credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli", secondo la promessa di Dio. E tu, Giuseppe, hai creduto, perché hai ascoltato e amato.
"Ascolta, Israele" è il comandamento che precede tutti gli altri ( Dt 6,4). E tu, resto fedele di Israele, insieme con la tua fidanzata Maria, hai ascoltato il Signore Dio, l'Altissimo, l'Unico. Hai ascoltato l'incredibile. E hai taciuto, per non perdere neppure uno dei suoni ineffabili e degli echi dolorosi e carichi di speranza di una Parola che sola può compiere l'impossibile e perciò può chiedere l'inaccettabile.
Hai taciuto, Giuseppe, uomo dell'ascolto, uomo giusto.
Quale parola può alzarsi davanti alla Parola? Quale parola può ricevere la Parola? Hai taciuto, Giuseppe, uomo dell'ascolto che solo può credere e accogliere la Parola.
Al grembo verginale della tua fidanzata, la Parola ha chiesto carne e casa. E chiede a te, come ad Abramo, il sacrificio del figlio. Il figlio della propria carne è tutto ciò che ogni Israelita crede volontà dell'Altissimo, tutto ciò che ogni giusto di Israele ritiene sia giustizia. Ogni promessa dell'Altissimo, per Israele, ha il volto di un figlio della propria carne. Ma ogni vero discendente di Abramo sa che la vera giustizia è l'offerta del figlio al Signore.
E tu, Giuseppe di Nazaret, uomo giusto, nel silenzio hai ascoltato la richiesta inaudita: a te l'Altissimo chiede il sacrificio del figlio, perché vuole offrirti Suo Figlio. 
E tu trovi il coraggio del silenzio, nel frastuono doloroso e trafiggente dei battiti furiosi del tuo cuore. Il coraggio di attendere, il coraggio di consegnarti al sonno, il coraggio di sognare, il coraggio di ascoltare. Il coraggio di credere. Il coraggio di obbedire. Ogni giorno, per tutta la vita. Il coraggio di uscire, sempre, come Abramo, di essere sempre in cammino, nella speranza, nella paura, nella fatica. Nella fede. Sempre.
Dall'Altissimo Silenzio Eterno - il Padre -  sgorga la Parola dell'Amore che salva - il Figlio. Per venire nel mondo, per salvare ogni carne, la Parola ha preso carne nel seno di Maria tua fidanzata. Ma ha bisogno di un padre. Ogni carne che viene al mondo ha bisogno di una madre e di un padre. E in te, uomo del silenzio e dell'ascolto, la Parola trova il padre. Tu, Giuseppe, uomo del silenzio amante, sei il volto umano, l'icona vera del Padre dei cieli per quel Figlio, che ti chiama abbà - e il tuo cuore ogni volta sussulta!
E noi siamo l'innumerevole schiera dei fratelli e delle sorelle di quel Figlio, che non ha la tua carne, ma che ami con tutto l'ardore del tuo sangue, con la stessa passione adorante di Mosè quando contemplava il roveto e il monte fumante e parlava con l'Altissimo faccia a faccia. E ogni giorno, ogni ora, rinnovi il tuo sacrificio, lo stesso di Abramo, con la stessa fede amante. 
E tu, padre di innumerevoli popoli che il tuo Figlio ha generato nel sangue, prendici alla tua scuola, per insegnarci il silenzio e l'ascolto, la fede  e l'obbedienza, il sacrificio e l'amore, la gioia di dare casa a Dio. Sii nostra guida e maestro, Giuseppe di Nazaret, uomo giusto, nostro padre.



domenica 16 marzo 2014

Ti invidio, Simon Pietro!


PERUGINO, Trasfigurazione del Signore

II domenica di Quaresima A
Gen 12,1-4a
Sl 32
2Tim 1,8b-10
Mt 17,1-9

Quaresima: tempo di uscita, tempo di deserto, tempo di silenzio e di ascolto. Tempo di contemplazione.

Nella prima domenica, la liturgia ci faceva contemplare Gesù condotto dallo Spirito nel deserto: uscito dalla casa del Padre e dalla casa dei suoi, dalla sua vita di artigiano di Nazaret, nella solitudine e nel digiuno, Egli ascolta profondamente la Parola del Padre, che sazia più del pane, che libera e realizza più di ogni successo, che fortifica più di ogni straordinario potere. E si consegna radicalmente, totalmente, da Figlio, alla volontà di amore del Padre, alla missione di salvezza che Egli gli affida.
In questa seconda domenica, è Abramo che ascolta la Voce, che lo attrae irrimediabilmente, follemente, che lo fa uscire verso mete sconosciute, solo fidandosi di Chi lo conduce. Ascolta, Abramo, nostro padre  nella fede. Ascolta una Voce che risuona dentro e lo seduce più di ogni ricchezza, di ogni amore familiare, di ogni sicurezza antica. E cammina, Abramo, fidandosi di Chi lo conduce.
Quaresima, tempo di uscire, nella fede, verso una vita rinata nel battesimo, solo ascoltando una Parola.
E Gesù, il Figlio uscito dal seno del Padre per ricondurvi i fratelli e le sorelle dispersi dall'inganno del male, si prepara ad uscire, nella morte di croce, da questo mondo per rientrare nella luce eterna. Comincia a condurre verso questa uscita i tre amici di sempre. E' la preghiera la porta dell'uscita. L'incontro d'amore con il Padre. E Gesù diventa come il sole.

Invidio i tuoi occhi, Simon Pietro, capaci di contemplare la bellezza di Gesù. Ricorderai quella bellezza abbagliante nell'ora delle tenebre?  

Hai paura delle tenebre, anche della penombra quotidiana di un Gesù umile maestro di Galilea, cercato dai poveri e dai piccoli e contestato incessantemente dai capi, politici e religiosi. Per questo vuoi restare qui, a contemplare la bellezza di luce del volto di Gesù che dialoga - sorride? - con Mosè ed Elia. Ricorderai la forza della testimonianza verace e infallibile dei due Grandi Amici di Dio, nella notte degli inganni e del tradimento?
Non bastano gli occhi per contemplare tanta bellezza. I patriarchi e i profeti avevano desiderato vedere ciò che tu e gli altri state vedendo. E tutti i figli che Dio chiamerà in Gesù desidereranno vedere ciò che voi vedete.... E la tua  bocca parla per l'abbondanza del cuore, come dice la Scrittura: "Signore, è bello per noi restare qui! Facciamo tre capanne..." Sì, certamente Gesù sorride a sentire le tue parole, perché neppure tu sai ciò che dici! Ma Lui legge le parole nel profondo del tuo cuore. 
Invidio i tuoi orecchi, Simon Pietro, capaci di sentire e comprendere la Voce del padre: "Questi è il Figlio mio amato, mia gioia. Ascoltatelo!". Anche il Padre sorrideva nell'ascoltarti, come sorridono teneri i genitori alle trovate ingenue dei bambini?  E il tuo cuore vuole uscire dal petto. Sacro timore: chi può ascoltare Dio e restare vivo? Possono stare insieme amore, paura, gioia, stupore.... No, un cuore non basta, non basta il petto a contenere i suoi battiti impazziti. 
Invidio il tuo cuore, Simon Pietro, e ciò che lo abita, lassù sul monte, dentro la misteriosa nube del Santo! Invidio il tuo cuore impazzito che vuole stare con Gesù, che teme la Voce del Padre, che ascolta il mistero, senza comprendere, perché Egli non è ancora risuscitato dai morti! Sì, Simon Pietro, occorre una chiave per penetrare il mistero, per comprendere Dio. E per poterlo poi annunciare. Una chiave misteriosa anch'essa: la croce e la risurrezione. E il tuo cuore impazzirà di nuovo in quella notte, prima del canto del gallo. Il timore di aver trovato Dio, oggi, si trasformerà nel terrore di aver perso Dio, in quella notte. Il nostro cuore, Simon Pietro, il tuo e il mio, non sa chi è Dio, fino alla croce. 

mercoledì 5 marzo 2014

Smascherati

MANRICO MARINOZZI (1903-1973), Pane e acqua

Mercoledì delle Ceneri
Gl 2,12-18
Sl 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

Guardo me stessa e intorno a me e sento pesare sempre di più il doloroso sospetto che il carnevale non finisca mai. Cambiano solo le maschere. Prima indossiamo quelle del divertimento, tragicomiche come il volto di un pagliaccio, poi quelle della religione. E ogni giorno, di momento in momento, quelle che ci sembrano più "opportune". Il carnevale dell'opportunismo è la dolorosa festa quotidiana. E spesso ci intestardiamo a chiamarlo "educazione", "rispetto". Addirittura "pratica religiosa".

Dalle maschere sfarzose, dalle grida e dalle musiche di ieri, passiamo tranquillamente e distrattamente alle ceneri di oggi: qualche volta si indossano le maschere allegre e qualche volta quelle tristi.

La cenere, invece, se ci lasciamo purificare e illuminare dalla Parola di Dio, dice solo la Verità. E con la Verità ci smaschera: nudi siamo venuti al mondo e nudi ne usciremo. Nudi siamo davanti a Dio, perché Dio è nudo e nudi siamo noi, suoi figli.
Siamo così assuefatti a vedere il Crocifisso, che non ci accorgiamo più che è nudo. Vergognosamente per Israele, come dice anche il profeta Isaia (53,3b): "come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato  e non ne avevamo nessuna stima". Gloriosamente per i cristiani, perché quel Crocifisso nudo è Dio che non si vergogna della nostra vergognosa nudità di poveri peccatori; anzi la fa sua per sempre sulla Croce, per rivestirci dell'unico abito veramente degno e glorioso: il suo amore fatto sangue. L'unico abito che ci restituisce la vera dignità e il vero vanto.  
Non c'è verità più strabiliante e innamorante di ciò che l'apostolo Paolo ci annuncia: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio".

Il Dio nudo, che mai si stanca di portare su di sé le ferite vere della nostra carne e dei nostri cuori, nascosti da abiti falsi, il Dio nudo ci ridona ogni anno questo giorno straordinario che ci introduce a un tempo prezioso: con la celebrazione delle ceneri iniziamo la quaresima, quaranta giorni per ricominciare a smascherarci, per riprendere il faticoso ed entusiasmante cammino della Verità. Per conoscere chi veramente sono. Chi è mio Padre. Dove vado. E il cammino che si apre è sempre nuovo. Ma se sono convinta di sapere già chi sono e di  non avere altro da scoprire, il cammino è già finito, sono paralitica, soffocata dalla prigione della maschera in cui confido. Se accetto di incamminarmi per il cammino della verità, arriverò ad immergermi nell'abbagliante luce pasquale: il Crocifisso vergognosamente nudo è gloriosamente vestito di luce. Liberato dall'atroce frutto di ogni maschera: la morte.

Nel Vangelo che la liturgia ci fa ascoltare oggi, Gesù pretende di smascherarci dalle maschere della religione. Le più difficili da togliere, perché sono quelle che - sovrapposte alle profane maschere del possesso, del successo, del piacere - ci anestetizzano la coscienza con l'accumulo di riti e di benedizioni, facendoci credere di essere creditori di Dio, ammirati dagli uomini.

Eppure c'è una speranza inaudita che oggi ci viene offerta: Dio ancora crede che accetteremo di lasciarci liberare dalle nostre dorate prigioni con la tenerezza della sua misericordia, con la luminosa forza della sua Parola, per gustare ogni giorno la gioia della libertà nell'Amore. 

Sarà raggiungibile la meta solo se cammineremo insieme, nella comunità dei figli. Solo se ci togliamo le maschere possiamo riconoscerci fratelli e sorelle.






domenica 2 febbraio 2014

L'attesa: collirio prodigioso

GIOTTO, Presentazione di Gesù al tempio, Assisi, Basilica inferiore di San Francesco


Presentazione di Gesù al tempio

Mal 3,1-4
Sal 23
Eb 2,14-18
Lc 2,22-40


La nostra vita è condotta, sospinta, motivata, in massima parte, dal desiderio e dall'attesa che il desiderio si compia. E' la speranza che dà senso alla vita. Ed è l'attesa che rende lo sguardo penetrante, luminoso, capace di vedere e riconoscere la realtà.
Di solito, i desideri e l'attesa sono tipici dell'età giovanile.
Poi, purtroppo, il peso della vita, delle fatiche, delle disillusioni - perché spesso si desiderano cose irreali, incapaci di colmare il cuore -, addirittura il realizzarsi di desideri di piccolo cabotaggio, di basso calibro, riducono la capacità di desiderare in grande, il coraggio di sognare i sogni di Dio e la prospettiva di vita si riduce, l'attesa lascia il posto alla nostalgia, la vista si affievolisce e lo sguardo si rivolge sempre più al passato - che chissà perché si colora di bellezza - e diventa incapace di guardare avanti, verso un futuro che si può percepire come impossibile e di cui si può anche avere paura. Di solito questo accade ai vecchi, a coloro che sonno afflitti dalla vecchiaia del cuore.

La festa di oggi è la festa di un'attesa compiuta per due vecchi: i loro occhi si sono purificati con il collirio del desiderio e dell'attesa, il loro cuore è stato infuocato dalla speranza, i loro passi sono stati condotti dalle ali dello Spirito di Amore. E hanno visto ciò che nessun altro ha saputo vedere, dei tanti presenti nel tempio, a parte i genitori giovani del Bambino: anche nel loro cuore arde l'attesa che si compia la Parola che misteriosamente li ha raggiunti.
E' la festa della Luce: lo testimoniano due vecchi dagli occhi straordinariamente, misteriosamente, prodigiosamente capaci di vedere.

Due genitori portano il primogenito al tempio per offrirlo al Signore, creatore e amante di ogni vita, e riaverlo da Lui in custodia. Un rito che si ripete continuamente nel tempio. E i bambini di quaranta giorni di vita sono tutti uguali! E gli occhi dei genitori di un primogenito brillano tutti allo stesso modo, le labbra di tutti loro vibrano della stessa commozione!

Simeone e Anna, due anziani che hanno trascorso i loro lunghi anni certamente nel lavoro, ma di più nell'ascolto della Parola e nell'attesa ardente del suo compiersi in una carne umana, hanno alimentato la loro vita gustando i sogni di Dio. Sono il piccolo resto di Israele, quello che è stato capace, nello scorrere dei secoli, di rimanere giovane, di non perdere la speranza: la Parola di Dio è come la pioggia  e la neve, non torna indietro senza aver fecondato la terra.
Una giovane terra - il seno di una vergine - è stata fecondata da quella Parola eterna e sempre sorprendente. Anche i genitori del Bambino appartengono a quel piccolo resto che sa credere e sperare nell'Amore.

In questa festa della Luce, luminoso e illuminante è questo incontro: due anziani ricevono da due giovani Colui che è il compimento delle attese dell'antico Israele e lo rende nuovo. L'unico Israele di Dio, antico e nuovo, è intorno a quel Bambino che è il Cuore, il Centro, il Culmine e l'Inizio sempre nuovo della storia d'amore di Dio per l'umanità sua sposa.
E' lui la Luce che apre e guida il cammino, che rende possibile la speranza. E' lui lo Sposo che colma l'attesa della sposa e la rende feconda, che rinnova come  aquila la sua giovinezza.

E' la festa della Vita, che entrando nella nostra carne umana la rende Tempio di Dio, che è Vita. 
Oggi, prima domenica di febbraio, è la XXXVI giornata nazionale per la vita: generare la vita è GENERARE FUTURO











lunedì 6 gennaio 2014

Cercare... per trovare sorprese

Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi

Epifania del Signore
Is 60,1-6
Sal 71
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12


Venivano dall'Oriente, quei magi: dal luogo della luce. Dall'Oriente sarebbe sorto quel Sole che avrebbe rischiarato coloro che erano nelle tenebre della morte: così aveva profetato Zaccaria, alla nascita di suo figlio Giovanni.
Dalla luce venivano, e cercavano la Luce, guidati da una luce: la stella.
Avevano nel cuore la sete della luce, il sapore della luce, il gusto della luce. E la Luce cercavano.
Chi cammina nelle tenebre, dice Isaia, ha bisogno della luce. Forse la cerca, forse gioisce nel trovarla. Purtroppo non tutti coloro che sono nelle tenebre hanno sete di luce, dice l'evangelista Giovanni. 
Papa Francesco continua a ricordarci che tutti siamo peccatori, cioè aggrediti dalle tenebre, caduti nelle tenebre. Ma a tutti è possibile cercare e trovare la luce. Solo chi è corrotto non cerca e non vuole la luce. Solo chi è assuefatto alle tenebre, diventa tutt'uno con le tenebre e non cerca più la luce, anzi la teme. Come Erode. Come quegli scribi e sacerdoti ai quali era stata data la fonte della luce - la Parola - ma preferirono le tenebre, credendosi luce di se stessi.
Gesù adulto dirà loro: "Vi è stata data la chiave della scienza; non siete entrati e impedite ad altri di entrare!". Spaventosa responsabilità!

Che meravigliose persone, quei magi! 
Cercavano il Re dei Giudei, loro provenienti da popoli pagani, ma studiosi di ogni Parola di luce, come le Scritture di Israele, che annunciavano il sorgere di una Stella, di una  Luce, di un Re, che avrebbe portato la vita e la pace.

Sorprese della Sapienza che viene da Dio! Trovarono un Bambino, in una povera casa. Com'è quotidiana questa immagine, com'è umana, com'è semplice e straordinaria!
E la sapienza umile di questi studiosi riconosce in quel Bambino il Re Dio e Uomo. E lo adorano. Contempliamo i magi inginocchiati! E vediamo la vera sapienza, che è vera umiltà. Solo l'umiltà può cercare con costanza e fatica la verità. E gioire! Come gioiscono i magi nel vedere la stella che li guida... da un Bambino. 
Non è forse un bambino, ogni bambino, l'icona più vera della ricerca della luce e della verità? Non risuonano sempre sulle bocche dei bambini le domande: Cos'è? Perché? Sono le domande degli umili cercatori sapienti, capaci di gioire davanti alle sorprese dell'Eterna Umile Sapienza.