sabato 26 novembre 2011

Sveglia!


Prima domenica di Avvento B
Is 63,16-17.19;64,2-7
1Cor 1,3-9
Mc 13,33-37

"Tu sei nostro Padre" grida Isaia all'inizio e a conclusione del brano che ascoltiamo in questo inizio dell'anno liturgico. Con lui tutto il popolo vuole ricordare a Dio - o forse a se stesso? - che egli è Padre. Non si viene al mondo e non si vive veramente senza un padre. Ogni figlio ha bisogno di conoscere e riconoscere il proprio padre. Il padre è sorgente e sicurezza di vita, è sostegno e forza, è guida e mano che accompagna. Il padre è arco che ti lancia e faretra che ti accoglie.

Il desiderio del Padre fa gridare al profeta e al suo popolo: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" Fame di patria, di vita, di pace, di riposo, di amore liberante. E il ricordo di ciò che Dio ha già compiuto per il suo popolo è sostegno alla speranza e alla fiducia che egli ancora si ricorderà di essere padre. Ma forse Isaia vuole al popolo ricordare che ha un padre e che di lui può e deve fidarsi, che lui deve ascoltare e seguire.
La nostra, del terzo millennio, è una generazione senza padre, dicono alcuni psicologi. Abbiamo perso il padre, come Israele molti secoli fa. E forse, il peggio, è che spesso si crede di poter fare senza! Il peggio è che spesso dimentichiamo di cercarlo, come se mai lo avessimo avuto! E chi ci indicherà la via per vivere?

"SVEGLIATEVI!" ci grida invece Gesù. Il Padre ha già squarciato i cieli, è già sceso, è vicino, ti cerca, ti ama, gioisce e soffre con te e per te!

Nella carne, nella vita, nelle parole, nel cuore, nelle gioie e nelle sofferenze di Gesù, il Padre E' VICINO, E' DENTRO LA NOSTRA VITA E LA NOSTRA STORIA.
"FATE ATTENZIONE! SVEGLIATEVI!" Perché in ogni ora egli ritorna, cioè sempre egli comincia e ricomincia ad essere padre della nostra vita, della vita di ciascuno. Ogni ora è buona per incontrarlo: alla sera, quando arrivano la stanchezza e le delusioni e si perdono le energie e gli entusiasmi; a mezzanotte, quando sembra che tutto sia solo tenebra e sopraggiunge la paura; o al canto del gallo che, come per Simon Pietro, grida la verità del peccato e del perdono; o al mattino quando si ricomincia e si cerca quel poco di luce che può indicare la strada e si riassapora il gusto della speranza...  Sono solo queste le ore della vita in questo mondo, quelle della penombra, della foschia o delle tenebre, comunque sempre ore di attesa della luce piena, che  chiede sempre di poterci raggiungere, ma che non sempre noi cerchiamo... perché è più semplice dormire...

"QUANDO LA LUCE GIUNGE NON VI TROVI ADDORMENTATI!" ci grida Gesù. Perché per chi dorme anche il mezzogiorno è buio come mezzanotte.

Le sentinelle vegliano per scrutare il primo annuncio della luce. E non vegliano solo per se stesse, ma per tutto l'accampamento, per tutto il popolo. Da loro dipende la vita e la salvezza dal nemico. Il nemico peggiore sono le tenebre e tutto ciò che induce le tenebre.
Perdere il significato e il valore della propria vita è già morire. Non avere un motivo vero per vivere, anche quando vivere significa rischiare di sacrificare la vita fino alla morte,  è essere già nella morte. Essere ostaggio della paura e della noia, aver abdigato alle proprie responsabilità, rinunciare a far fruttificare i doni ricevuti, smettere di credere e di crescere nell'amore è già essere nel sonno della morte. Scambiare il bene della persona e delle persone, dei popoli, con la buona salute dell'economia... scambiare il gusto della vita con il campionato di calcio... scambiare l'impegno educativo con l'incentivo alla carriera e al successo... scambiare la festa e il riposo con il disimpegno, lusso e lo spreco, il diveritmento deviante... scambiare la felicità con il potere e il possesso delle cose e delle persone... significa sprofondare sempre di più in un sogno menzognero e mortifero...

In Gesù, invece, Dio scende per svegliarci alla vita e all'amore.
Come le sentinelle, occorre essere ben svegli e attenti a ogni piccolo segno di presenza di un amore che rende possibile credere al domani, lottare per il bene oggi, essere nella gioia fin da oggi.
Occorre essere ben svegli: occhi, cuore, mente, aperti e attenti, sensibili e reattivi, responsabili. Per riconoscere la Sua presenza, per riconoscerlo anche là dove sembra più nascosto, dove meno lo aspetteremmo, nelle circostanze più impensate. Nei poveri. E chi non è povero?
Occorre essere ben svegli, per gioire per primi del primo segno di luce e per annunciare a tutti la stessa gioia.
Per cominciare sempre a vivere, ad amare, a impiegare i talenti, a rispondere alla sua voce che chiama ciascuno per nome: "Figlio mio!". E rispondere: "Padre nostro!" E tendere la mano. E offrire un sorriso. E condividere la fatica e offrire la speranza. E indicare la via dietro la Luce che ci riveste e guida e fa gioire il cuore e ceste di bellezza ogni povertà e debolezza.
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"  (Is 52,7)

lunedì 14 novembre 2011

Che io veda di nuovo!

El Greco, Guarigione del cieco

Luca 18, 35-43

Il più delle volte vedo buio e vedere buio significa non vedere. I miei occhi vedono solo in penombra, non riescono a ricevere troppa luce, se è troppa vedono ancora di più solo buio. E allora mi faccio idee strane: che il sole è scomparso, che il mondo è avvolto nelle tenebre; io per prima sono solo tenebra... naturalmente al buio non ci si può muovere, si va a sbattere, si cade, si precipita. La cosa più sicura è fermarsi. Sul ciglio della strada, dove gli altri, che forse ci vedono, posso vedermi e compatirmi e dire: poverina. E magari stendere la mano per far cadere nella mia uno spicciolo. Poiché al buio non vedo neanche me stessa e neanche un eventuale talento che dovrei aver ricevuto, mi trascino da un angolo all'altro della strada aspettando di ricevere almeno uno spicciolo di attenzione, di compassione - addirittura della compassione mi accontento! - del contatto di una mano che sfiora inavvertitamente e frettolosamente la mia... Ma il buio è una tomba! E nel buio della tomba, anche Dio è morto, incomprensibile e inaccessibile. Forse neanche penso di rivolgermi a lui... In fondo non è nemmeno così scomoda la cecità. Può essere più difficile persino doloroso vedere, perché io e gli altri siamo neri, buio... E se Dio è luce - dicono - è troppa e mi acceca ancor a di più.
E invece, quando qualcuno mi dice: "Passa Gesù" - ma io non lo vedo, forse si sbagliano, forse non è vero, forse lui non ha intenzione di ineterssarsi a me, e poi gli altri mi ostacolano... non mi aiutano, mi dicono di tacere... forse è meglio tacere... potrei perdere anche quello spicciolo... - quando qualcuno mi dice: "Passa Gesù", potrei decidere di gridare: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". E gridare ancora: Abbi pietà di me!
E già si è rotto qualcosa, una catena, perché aspetto che sia lui a decidere in che modo avere pietà di me. "Abbi pietà di me!". Il mio buio già si dirada, perché non lo accuso di avermi lasciato al buio, non lo interrogo sul perché della mia cecità, non gli chiedo conto di un talento che non vedo... soltano: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".
E allora comincia ad accadere quello che non avrei creduto: qualcuno mi dice che lui si è fermato, che mi guarda e aspetta che gli vada vicino, ma io non lo vedo; qualcuno mi dà la mano per accompagnarmi: ma dove, sarà poi vero? Forse la fede è camminare anche quando è notte fidandomi di chi mi dà la mano.
E la sua voce ferisce prima il mio cuore che le mie orecchie: "Che cosa vuoi che io faccia per te?".
E' come se mi chiedesse: davvero vuoi guarire? Ma che domanda è? Non lo capisce di che ho bisogno?
No, lui ci vede: lui sa di che ho bisogno. Forse sono io che non lo so bene...
"Signore, che io veda di nuovo!"
Non vedere come prima, non vedere con i miei occhi che non contengono la vera luce.
DAMMI OCCHI NUOVI, SIGNORE! DAMMI DI VEDERE CON QUEGLI OCCHI NUOVI CHE SONO I TUOI, SIGNORE!
E tu davvero mi dai una vista nuova, anzi mi riveli che me l'avevi già data prima di guarire i poveri occhi di carne, quando il mio cuore ha cominciato a vedere prima degli occhi. Quando ho potuto gridare - era la fede che gridava e io non lo sapevo - "Figlio di Davide, Signore, abbi pietà di me!"
DAMMI SEMPRE I TUOI OCCHI, GESU', PER VEDERE TE, E CON TE  VEDERE ME, PER VEDERE LA STRADA SU CUI SEGUIRTI, PER VEDERE CHE IL MONDO TI LODA ANCHE A CAUSA MIA.

sabato 12 novembre 2011

Il timore rende saggi, la paura stupidi

Pr 31,10-13.19-20.30-31
Sal 127
1Ts 5,1-6
Mt 25, 14-30

"Principio della sapienza è il timore del Signore": insegna il libro dei Proverbi (9,10).
E in queste domeniche Gesù ci sta mostrando personaggi sapienti e stolti, in contrapposizione. E si preoccupa di mostrarci come il Regno di Dio appartenga ai saggi, non agli stupidi.
Domenica scorsa ci mostrava fanciulle sapienti e fanciulle stolte: queste ultime venivano tenute fuori dal banchetto della festa di nozze, immagine del regno di Dio. La soltezza, infine, si identifica con l'incapacità di centrare il bersaglio, di raggiungere la meta.
Oggi Gesù ci mostra servi sapienti e un servo stupido. Più che servi ci appaiono uomini di fiducia del loro signore: a loro egli affida  ricchezze enormi. Un solo talento equivaleva a seimila giornate lavorative di un operaio, circa venti anni di salario.
Ma il servo che ha ricevuto un solo talento è reso stolto dalla paura. Dichiara apertamente la sua paura, che gli fa vedere il suo padrone in modo distorto, addirittura disonesto e prepotente. Perciò ha nascosto la ricchezza ricevuta in amministrazione: per paura.
Il timore rende saggi, perché il timore è rispetto affettuoso, devozione grata. Timore è riconoscere che Dio è Dio e non io, che Lui è unico e che solo in Lui c'è salvezza. Il timore, dono dello Spirito, è luce che apre gli occhi alla verità di Dio, è fuoco che fa innamorare di Lui, è adorazione amante che rende felici e fecodi, come la donna della prima lettura.
La paura, invece è buio che impedisce di vedere e riconoscere e così Dio diventa un fantasma che spaventa. E' disfunzione degli occhi e del cuore, che ci fa vedere in Dio la proiezione delle nostre cattiverie, violenze e prepotenze. E si fallisce. Si perde la meta e tutto il resto.
"So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo".
La paura lo acceca e gli fa vedere un Dio diverso dalla realtà. La paura lo paralizza e gli impedisce di agire e di rischiare. Mente e cuore sono atrofizzati. La paura lo rende stupido.
La paura non sa amare. "L'amore scaccia la paura" dice l'evangelista Giovanni.
Ogni volta che, in qualunque modo, si istiga alla paura di Dio e la si suscita, si indica la via della stupidità, della lontananza, della perdita di Dio.
Perché Dio è amore, amicizia, tenerezza sponsale, accoglienza, fiducia, perdono.
La donna che teme Dio è da lodare!
E' benedetto l'uomo che teme il Signore!
Sono figli della luce e figli del giorno e il Signore non li sorprenderà come un ladro ma come sposo amante che li chiama a condividere la sua gioia.

giovedì 10 novembre 2011

Dove trovare la felicità?


Dal libro della Sapienza 7,22-8,1

Nella sapienza c'è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile,
agile, penetrante, senza macchia,
schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto,
libero, benefico, amico dell'uomo,
stabile, sicuro, tranquillo,
che può tutto e tutto controlla,
che penetra attraverso tutti gli spiriti
intelligenti, puri, anche i più sottili.
La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento,
per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
È effluvio della potenza di Dio,
emanazione genuina della gloria dell'Onnipotente;
per questo nulla di contaminato penetra in essa.
È riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell'attività di Dio
e immagine della sua bontà.
Sebbene unica, può tutto;
pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova
e attraverso i secoli, passando nelle anime sante,
prepara amici di Dio e profeti.
Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza.
Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione,
paragonata alla luce risulta più luminosa;
a questa, infatti, succede la notte,
ma la malvagità non prevale sulla sapienza.
La sapienza si estende vigorosa da un'estremità all'altra
e governa a meraviglia l'universo.

domenica 6 novembre 2011

Ho visto...

Marc Chagall, Cantico dei cantici

Meno di un mese fa, improvvisamente, sono stata chiamata accanto a mia zia, in ospedale, stava molto male... stava morendo!
Una zia suora, sorella di mio padre, ultima di sette fratelli.
Quando io sono nata, lei non aveva ancora 17 anni. Una settimana dopo il mio battesimo è uscita dalla famiglia per entrare nella famiglia delle Figlie di S. Anna.
Una zia che ho imparato a conoscere e amare, perché era molto amata da mio padre e dalla famiglia; viveva lontano: negli anni '60 e '70 la Lombardia e l'Emilia erano molto lontane dalle Marche, ma mio padre amava viaggiare per andare a trovarla: ogni volta era un avvenimento; lo erano ancora di più i suoi ritorni, piuttosto rari, nella  casa paterna.
Dagli anni '80 in poi le cose sono diventate più facili: tornava a casa tutti gli anni. Io, però, ero entrata a mia volta nella Compagnia Missionaria e, anche se ero a Bologna, più vicina a lei, non era facile trovare le occasioni per incontrarci. Capitava, di tanto in tanto... e poi qualche telefonata... poi sono arrivata in provincia di Napoli... e i contatti si sono ancora ridotti.
Da sempre era impegnata nella scuola materna, spesso come responsabile della scuola, per molti anni come superiora delle comunità in cui era inviata: Caccivio, Fiorenzuola d'Arda, Salsomaggiore, Lodi, Medicina, Portonovo, Consandolo, S. Pietro in Gu, Filottrano, di nuovo Consandolo. A Medicina, la sua comunità accoglieva ragazze senza famiglia. In altri periodi sapevo che era impegnata in progetti di recupero di tossicodipendenti. Sempre aveva molto a cuore le famiglie dei bambini della scuola. Appassionata di pastorale, anche quando non mancavano le difficoltà, lavorava a servizio della parrocchia, soprattutto con i ragazzi e i giovani.
L'estate scorsa, sorprendentemente, ci siamo trovate nelle nostre famiglie, in vacanza. Dopo tanti anni, alcuni giorni al mare insieme: abbiamo avuto tempo di raccontarci tante cose. Per la prima volta, mi ha confidato la storia della sua vocazione, iniziata quando aveva 14 anni. Mi ha confidato anche gioie e fatiche. Aveva ancora una grande carica. Stava riorganizzando dei gruppi di spiritualità a Filottrano e ad Acquaviva Picena - il suo paese - e sarebbe andata tutti i mesi a incontrarli.

Il 12 ottobre mi raggiunge una telefonata: zia è ricoverata in ospedale da circa tre settimane, non ha voluto che lo sapessimo. Ora è grave. Il giorno dopo, con alcuni miei cugini, sono da lei. E' serena, sorridente. I medici dicono che non c'è più nulla da fare. Riceve il sacramento della sacra unzione, preghiamo insieme.
Siamo storditi: addolorati e sbalorditi. E' nostra zia, crediamo di conoscerla, ma...
Un continuo andirivieni di persone: sacerdoti, coppie di genitori dei suoi bimbi, uomini e donne giovani e anziani, suore... Saluta tutti, anche se è visibilmente affaticata. A tutti chiede notizie dei componenti la famiglia, ringrazia, manda saluti e baci... Riceve commossa i saluti dei bimbi e l'assicurazione che pregano per lei a scuola e a casa... Ogni visitatore esce nel corridoio a piangere, ci abbracciano, ci raccontano quanto bene hanno ricevuto da lei: storie sorprendenti.
Di tanto in tanto le chiediamo: "Zia, sei stanca?". "Un pochino", ma continua a parlare, a salutare, a ringraziare, a pregare. Le chiediamo: "Come ti senti? hai male?". "No, un po' di fastidio". E sorride. Non mangia più e non chiede nulla. Si preoccupa del nostro viaggio e di dove saremo alloggiati. E' contenta quando le dico che in due resteremo con lei durante la notte. Fino a tardi riceve visite. Poi una notte tranquilla. Riposa.
Il giorno successivo, di buon mattino, riprendono le visite, i ringraziamenti.... e le lacrime dei visitatori.
"Zia, come stai?". "Bene, benino".
Ad un tratto chiede: "Che giorno è oggi?". "E' venerdì, zia". "Ah... credevo fosse sabato...". E poco dopo la stessa domanda; stessa risposta. E ancora. Allora le chiedo: " Perché desideri il sabato? Perché è il giorno della Madonna?". "Sì... credevo fosse sabato.... credevo fosse sabato... credevo fosse sabato...". Ad una suora presente confido: zia aspetta domani, sarà quello il suo giorno.
Trascorre ancora una giornata intensissima: continue visite, preghiera, con qualche momento di assopimento. La sera resto ancora con lei. Si addormenta, ma prima di mezzanotte il suo respiro cambia. Vengono medici e infermieri, tentano qualche intervento terapeutico, inutile. La respirazione diventa difficilissima. Invoca Gesù, Maria e Madre Rosa, la fondatrice del suo istituto. Prego con lei: Ave Maria.... Invochiamo il Cuore di Gesù. Non riesce a respirare, ma continua a mormorare preghiere e invocazioni. Ad un tratto inizia le invocazioni dei moribondi: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia... Continuo a pregare con lei... Le iniettano forti sedativi... e intanto arrivano due suore a cui ho telefonato. Le restiamo accanto, in silenzio, pregando... Porto in cuore ciò che ho visto e ascoltato in questi due giorni: non conoscevo così mia zia. e ringrazio Dio che concede a me di accompagnarla all'incontro, come quasi vent'anni fa facemmo con mio padre.
Peter von Cornelius, Le vergini sagge e le vergini stolte

Quando rende l'ultimo respiro -sabato mattina - risuonano in me le parole del Vangelo di Matteo: con la lampada accesa è andata incontro allo Sposo.
L'olio che ha alimentato la lampada l'abbiamo visto in questi giorni e ancora al funerale: "E' passata facendo del bene" hanno detto in tanti; e ancora: "Era esigente, anche insistente e anche dura, ma sentivamo che lo era per amore. Ci ha fatto vivere esperienze di vita importanti. Era innamorata di Cristo e non poteva accettare che altri non lo fossero. Soffriva e gioiva, con noi e per noi. Certo, qualche volta ha anche sbagliato, ma ci ha voluto bene. Grazie a voi familiari per avercela donata".