sabato 29 ottobre 2011

Verità che smaschera

Francesco di Assisi, spogliandosi davanti al padre, al vescovo e alla folla, ci ha insegnato l'unico modo in cui è possibile ascoltare l'unico Maestro, seguire l'unica Guida, gioire dell'abbraccio dell'unico Padre: nudi, spogliati di ogni maschera e di ogni titolo.

GIOTTO, Francesco si spoglia delle vesti, Assisi, Basilica superiore di S. Francesco

La stessa Parola dell'unico Maestro, illuminandoci, ci spoglia, ci riduce a verità, alla gioiosa libera umile verità.
Abbiamo, dunque, solo necessità di ascoltare, senza troppo commentare, perché ogni commento potrebbe diventare maschera. Ascoltare la Parola come Francesco: SINE GLOSSA
 Disponendoci nel silenzio in cui risuona ciò che lo Spirito ha suggerito al cuore del profeta Malachia (1,10):
"Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?"

Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.  Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

martedì 11 ottobre 2011

Era l'aurora

11 ottobre 1962 - Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. Lo Spirito  Santo offriva alla Chiesa una nuova esperienza inebriante, di illuminata attenzione ai segni dei tempi, di verifica, di rinnovamento, di apertura a tutti i popoli e a tutte le culture, di incontro confronto e collaborazione con le chiese cristiane e con tutte le religioni; di riscoperta e di nuovo innamoramento della Parola di Dio annunciata e ascoltata in tutte le lingue, scavata e approfondita, ritrovata e riappropriata dai credenti come il tesoro nascosto; esperienza inebriante di riscoperta ineffabile e di presa di coscienza dell'insuperabile dono del battesimo che innesta a Cristo ogni uomo e ogni donna, rendendoli in Lui tutti re sacerdoti e profeti - Chiesa; di rinnovamento della liturgia  celebrata in tutte le lingue, incarnata nella vita degli uomini  e delle donne, tutti chiamati a  parteciparla consapevolmente; esperienza ineffabile di rinnovata pentecoste che chiamava ancora la Chiesa a contemplare, celebrare e servire il mistero eterno dell'amore di Dio e il suo disegno di salvezza e di santità universale, di cui la Chiesa - come Israele peccatrice e santificata - è segno e profezia.

La Chiesa giovane alla messa del Papa, GMG, Madrid 2011

Dal discorso di apertura del Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII:
Venerabili Fratelli,
La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II.

 Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza. Contempliamo infatti stelle aumentare con il loro chiarore la maestà di questo tempio, e siete voi, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni ; e per voi risplendere i candelabri d’oro intorno al sepolcro del Principe degli Apostoli, che sono le Chiese a voi affidate. Vediamo anche le degnissime personalità che sono convenute a Roma dai cinque continenti, in rappresentanza delle proprie Nazioni, e che sono qui presenti con grande rispetto e in cortesissima attesa.
Si può dunque dire che i Santi e gli uomini cooperano nella celebrazione del concilio: i Santi del Cielo sono impegnati a proteggere i nostri lavori; i fedeli ad elevare a Dio ardenti preghiere; e voi tutti, assecondando prontamente le soprannaturali ispirazioni dello Spirito Santo, ad applicarvi attivamente perché le vostre fatiche rispondano pienamente alle attese e alle necessità dei diversi popoli. Perché ciò si avveri, si richiedono da voi la serena pace degli animi, la concordia fraterna, la moderazione delle iniziative, la correttezza delle discussioni, la saggezza in tutte le decisioni.
Che il vostro impegno e il vostro lavoro, ai quali sono rivolti non solo gli occhi dei popoli, ma anche le speranze del mondo intero, corrispondano largamente alle attese.


Dio Onnipotente, in te riponiamo tutta la fiducia, diffidando delle nostre forze. Guarda benigno a questi Pastori della tua Chiesa. La luce della tua grazia superna Ci assista nel prendere le decisioni, sia presente nell’emanare leggi; ed esaudisci prontamente le preghiere che rivolgiamo a te in unanimità di Fede, di voce, di animo.
O Maria, Aiuto dei Cristiani, Aiuto dei Vescovi, il cui amore abbiamo recentemente sperimentato in modo particolare nel tuo tempio di Loreto, dove abbiamo venerato il mistero dell’Incarnazione, con il tuo soccorso disponi tutto per un esito felice, fausto, propizio; insieme con il tuo Sposo San Giuseppe, con i Santi Apostoli Pietro e Paolo, con i santi Giovanni Battista ed Evangelista, intercedi per noi presso Dio.
 A Gesù Cristo, amabilissimo Redentore nostro, Re immortale dei popoli e dei tempi, amore, potere e gloria nei secoli dei secoli. Amen

domenica 9 ottobre 2011

Tutti invitati!

                                                    M. Chagall, Le nozze,1910

Is 25,6-10a
Mt 22,1-14

Da cinque domeniche la Parola di Dio sta gridando di amore e di dolore.
Però... Gesù - Parola di Dio fatta carne - sta gridando attraverso le parabole. Così possiamo sentire senza ascoltare, guardare senza vedere; possiamo scegliere di comprendere o non comprendere, accogliere o restare incuranti, lasciarci amare, rispondere all'amore o chiudere la porta e dedicarci a qualcosa di più interessante...!!!!!!
Quel Dio che grida l'amore sceglie di farlo "in parabole": il modo più semplice e profondo, più chiaro e nascosto, più umano e più divino; il modo che lascia noi più liberi e rende lui più vulnerabile. Fino alla fine Dio continuerà a soffrire e gridare l'amore, nella speranza che qualcuno lo accolga. Perché fin dal principio il suo progetto è condurci a nozze, vestirci dell'abito nuziale, cioè darci la sua stessa vita.

Nella liturgia di oggi, il profeta Isaia annuncia un banchetto succulento, dove scorre vino delle migliori qualità: a cui tutti sono invitati!
E anche Gesù narra di un banchetto, non più annunciato - come in Isaia - ma ormai in corso: anche a questo banchetto - rifiutato dai primi invitati - tutti sono invitati, senza nessuna distinzione, senza diritti e senza titoli di merito!
Ma quando mai!

E' incantevole come la Parola di Dio parli un linguaggio così radicalmente umano: cosa c'è di più umano e di più materiale di un banchetto di nozze? Davvero poco spirituale questo Dio! Eh... sì, perché il Dio in cui diciamo di credere - lo dimentichiamo molto facilmente - si è fatto carne, cioè si è vestito del nostro abito, per condurre la nostra carne a vivere nell'eternità, offrendoci cioè il suo abito divino. Sì, ha dato una grande festa di nozze dal giorno in cui queste nozze hanno cominciato a consumarsi nel ventre di una donna di Nazaret. Davvero poco spirituale! Se per spirituale intendiamo evanescente, nebuloso, disincarnato... dell'altro mondo, come ci immaginiamo che sia dio. Ingannandoci.
Solo nell'umanità, nella carne di Gesù di Nazaret noi possiamo incontrare e riconoscere Dio e credere in Lui, cioè accogliere il suo invito a nozze e lasciarci vestire del suo amore: è Gesù stesso il nostro abito nuziale! Lui, lo sposo.
Nessuno di noi può procurarsi da solo questo abito: possiamo solo riceverlo e indossarlo. Quell'abito chiede di diventare la nostra stessa carne, perché così si compiono le nozze e la nostra stessa carne può diventare annuncio e testimonianza di un  amore così carico di vita!

                        Cristo sposo con Maria-Chiesa sposa, mosaico, S. Maria in Trastevere, Roma


Però quello che Gesù dice in questa parabola è anche così "poco umano"! Quando mai ai banchetti che organizziamo noi sono invitati tutti! Non c'è niente di più selettivo dei nostri banchetti: si tratti delle nostre feste familiari, o dei "banchetti" del potere, della politica, dell'economia, delle risorse naturali, del lavoro, dell'istruzione, della cultura, dell'educazione, dell'inserimento sociale.... Quanti restano fuori per mancanza di "requisiti giusti e spinte giuste"! Ecco la grande forza della speranza offerta dal Vangelo: al banchetto di Dio TUTTI SONO INVITATI! E questo è davvero "spirituale", davvero divino.

Certamente... per indossare un abito è necessario spogliarsi di un altro. E' ciò che Gesù ha fatto, come ci ricorda S. Paolo:



Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso
          assumendo una condizione di servo,
          diventando simile agli uomini.
          Dall'aspetto riconosciuto come uomo,
          umiliò se stesso
         facendosi obbediente fino alla morte
         e a una morte di croce.
  (Fil 2,5-8)
E è proprio qui che nasce qualche problema: siamo anche disposti  ad accogliere l'invito di Dio; in fondo possiamo sempre aver bisogno di uno come lui!  Ma spogliarci di convinzioni, interessi, pregiudizi, orgoglio, egoismi, maschere, schiavitù idolatriche di vario tipo.... (non si finisce mai di spogliarsi!) per vestirsi di lui...
A pensarci bene, se noi ci stiamo, solo lui è capace di spogliarci per poi rivestirci. E non è una tantum.



"Ma Dio non è quello che, alla fine, lo sa come siamo fatti e accetta tutto?"
Uno così non è capace di amare e non è il Dio di Gesù Cristo, quello del Vangelo. Uno imperturbabile davanti al rifiuto dell'amore nuziale è solo la deformazione dell'uomo e di Dio inventata dal nostro peccato. Un Dio imperturbabile davanti al rifiuto del suo amore nuziale non potrebbe dare alcuna gioia e alcuna speranza: sarebbe per sempre confermato il banchetto succulento e truculento dei potenti e l'invidia rassegnata o violenta dei deboli.

E allora a che servirebbe chiamarci cristiani? Perché sprecare tanti segni di croce?
Il grido di Gesù vuole salvarci dalle tenebre, dal pianto e dallo stridore di denti.

martedì 4 ottobre 2011

PACE E BENE

Dagli Scritti di S. Francesco d'Assisi
Dal Testamento:
1 Il Signore dette a me, frate Francesco, d’inco­minciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi 2 e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi mi­sericordia. 3 E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

4 E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5 Ti ado­riamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

23 Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

LODI DI DIO ALTISSIMO


  1 Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose.
2 Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
3 Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero.
4 Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
5 Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia,
Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
7Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.


CANTICO DI FRATE SOLE


  1 Altissimu, onnipotente, bon Signore,Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
2 Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.
3 Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
4 Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
5 Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
6 Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
7 Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
8 Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
9 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
10 Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
12 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
13 guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.
4 Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.


SALUTO ALLA BEATA VERGINE MARIA


 1 Ave, Signora, santa regina
santa Madre di Dio, Maria
che sei vergine fatta Chiesa.
2 ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
3 tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia
e ogni bene.
4 Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
5 Ave, suo vestimento,
ave sua ancella,
ave sua Madre.

 6 E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate.


BENEDIZIONE A FRATE LEONE


 1 Il Signore ti benedica e ti custodisca, mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.
                2 Rivolga verso di te il suo sguardo e ti dia pace.
                3 Il Signore benedica te, frate Leone.

domenica 2 ottobre 2011

Cantico d'amore

Is 5,1-7
Mt 21,33-43

"La tua sposa come vite feconda
nell'intimità della tua casa"(Sal 128,3)
Quando il salmista ascoltava questa preghiera che lo Spirito sussurrava nel profondo del suo cuore di innamorato e di credente, forse contemplava la sua sposa e i suoi figli e godeva del loro amore e del suo amore per loro. Dovrebbe essere sempre dolce un canto d'amore!
Amaro, dell'amarezza dell'amore frainteso, abusato e deluso, era il sapore del canto che lo Spirito sussurrava nel cuore di Isaia: il canto d'amore di Dio per la sua sposa Israele, che egli aveva desiderato come vite feconda nell'intimità del suo cuore. Invece... a tanta tenerezza e cura Israele risponde con acini acerbi. Amata, non sa rispondere all'amore, non sa condividere l'amore: anziché giustizia, spargimento di sangue, anziché rettitudine, grida di oppressi! I capi, quelli che più conoscono la parola e le gesta d'amore di Dio, sono coloro che producono dolore e sangue, acini acerbi! Una sposa madre amata, che ferisce i suoi figli!
A quei capi, Gesù si rivolge continuando lo stesso doloroso cantico del profeta: la vigna-popolo è affidata alle cure di vignaioli che Dio sceglie, chiama. A loro consegna coloro che ama. Con quale fiducia e stima! La vigna dovrebbe riconoscere in loro l'amore e la tenerezza stessi di Lui. Questa vigna produce frutti per l'amato, ma vengono rubati dagli stessi vignaioli. Quando il Figlio sposo arriva, diventa vittima della peggiore violenza e ingiustizia! Il suo sangue si mescola al vino della vigna amata.
"Quando verrà dunque il padrone della vigna, cosa farà a quei contadini?" domanda Gesù.
Alle parole di Natan, che identificava il re Davide come colui che aveva rubato e ucciso l'unica pecora amata dal povero, lo stesso re - garante del rispetto della giustizia e incapace di riconoscere l'ingiustiza delle sue scelte violente - emetteva il verdetto di condanna a morte per il colpevole. "Tu sei quell'uomo!" sentenziò il profeta. E Davide pianse il suo peccato. E ottenne perdono.
Com'è difficile per ogni persona riconoscere la propria ingiustizia! Soprattutto com'è difficile per i capi! E com'è facile emettere sentenze di giustizia! Soprattutto per i capi!
E i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo emisero la sentenza davanti alla domanda di Gesù, convinti di dimostrare a questo fastidioso "maestro" la loro "giustizia", più giusta di Dio!
"Quei malvagi li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempo"
Gesù neppure considera la prima parte della sentenza, perché il Figlio muore miseramente per mano dei vignaioli, non i vignaioli. Dio non vuole la morte del peccatore, neppure quando si tratta dei capi di cui ha avuto fiducia, neppure quando condannano  alla croce suo Figlio!
La seconda parte della sentenza, invece, è giusta. Come Natan, però, Gesù è costretto a smascherare l'ipocrisia. "Voi siete quei contadini e a voi sarà tolta la vigna!". Ma c'è una sorpresa, inaspettata, impensabile! "La pietra scartata dai costruttori - i vignaioli ora sono ingegneri - è diventata la pietra d'angolo: questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi!".
Dio non uccide, neppure coloro che tradiscono la sua fiducia e attentano al bene del suo popolo. Dio, invece, risuscita il Figlio crocifisso e sepolto: è la lui la vera vite di cui si fa scempio! e con lui è violentata tutta la vigna. E' lui il grappolo violentemente spremuto dai vignaioli! E quel vino-sangue, da prova del delitto, diventa bevanda di salvezza per tutti, per quelli stessi che l'hanno spremuto, se vogliono accoglierlo, riconoscendo la colpa! Perché per la remissione dei peccati è versato quel sangue!
La meraviglia di un amore forse incompreso e deluso fino alla fine dei secoli, ma mai vinto. Una ineffabile speranza è consegnata a noi popolo di Dio e a ciascun credente, chiamato a portare frutto. E a coloro ai quali la vigna è affidata.
Ma la speranza chiama sempre a camminare, provoca sempre una verifica e una conversione. La pietra diventata testata d'angolo non è fatta dalle convinzioni assolute dei capi a cui la speranza sembra a volte compagna di cammino troppo fragile e povera. La pietra angolare, la roccia di salvezza è solo il Crocifisso Risorto che non teme di farsi compagno di cammino dei deboli e dei fragili e dei poveri e dei peccatori, mentre può diventare pericolosa pietra d'inciampo per chi confida in se stesso e forse in un ruolo sicuro...
Oggi, noi chiesa, ci inginocchiamo adoranti davanti al Risorto, mentre oggi ascoltiamo la sua Parola viva. E una domanda mormora nel cuore: a chi parli, oggi, Signore? A Israele!? Alla Chiesa?

sabato 1 ottobre 2011

Io sarò l'Amore



            Era nata ad Alençon, Teresa, il 2 gennaio 1873, ultima di nove figli, di cui quattro morti in tenerissima età, già prima della sua nascita. Era, dunque, la piccolina, amata e coccolata dai genitori, Zelia e Luigi, e dalle quattro sorelle: Maria, la più grande, sua madrina di battesimo; Paolina, suo ideale e modello, scelta come seconda mamma alla morte della madre, avvenuta quando lei aveva quattro anni e mezzo; Leonia e Celina.


Piccola regina
            La “piccola”: così la chiamava la mamma nelle sue lettere. Così era considerata in famiglia, come capita in genere ai più piccoli, nonostante dimostrasse, fin dai primi anni, vivace intelligenza, molto acume, una forte volontà e una sensibilità religiosa sorprendenti per la sua età. Una bambina allegra e simpatica, con un caratterino capace di imporsi sulle sorelline compagne di giochi, poco mite e molto ostinata, estremamente sincera, sensibile e capace di slanci affettuosi soprattutto nei confronti dei genitori; alla mamma augurava la morte, spiegando: “E’ perché tu vada in Paradiso, poiché bisogna morire per andarci!”.
            “Reginetta” la chiamava suo padre che lei, bambina, onorava del titolo di “re di Francia e di Navarra”; lo chiamerà comunque, per tutta la vita, “il mio Re”.
            Nonostante l’affetto del papà e delle sorelle, e anche degli zii materni, la piccola risentì molto della perdita della mamma: il suo carattere allegro divenne introverso, la sua sensibilità divenne facilmente vulnerabile sino a farla molto soffrire e renderla facile vittima degli scrupoli.
Non aveva ancora dieci anni, quando la sorella Paolina, sua seconda mamma e confidente, entrò al Carmelo. Ella ne parlò in modo che la piccola riconobbe in esso quel “deserto” dove già da tempo desiderava ritirarsi con Paolina, per fare l’eremita. Da allora cominciò a desiderare il Carmelo, non più per Paolina, ma per Gesù solo. Soffrì comunque così tanto per la “perdita della sua seconda mamma”, da ammalarsi gravemente, per mesi, tanto che il medico e i suoi disperarono di poterla guarire. Suo padre, un giorno, decise di far celebrare una novena di messe alla Vergine delle Vittorie; fu durante questa novena, la domenica di pentecoste, mentre Maria, Leonia e Celina pregavano accanto al suo letto, davanti alla statua della Madonna, che Teresa guarì: la Vergine le aveva sorriso.
            Né i genitori né le sorelle rinunciarono mai a educare la personalità complessa e il carattere non facile di Teresa, ma era pur sempre “la bambina”, che si è tentati quasi di difendere dalle fatiche della crescita.


La conversione
            La percezione della propria “piccolezza” e lo “spirito d’infanzia” sono dimensioni fondamentali dell’esperienza spirituale di Teresa. E’ stata forse proprio la sua realtà umana il terreno nel quale queste dimensioni hanno potuto germogliare e radicarsi, ma è anche vero che, per fiorire e portare frutto, questi germogli hanno dovuto ricevere la potatura e l’innesto della conversione evangelica.
            Teresa era anagraficamente e umanamente piccola, bambina; dovette diventarlo “evangelicamente”.
            Racconta lei stessa:
            “Fu il 24 dicembre 1886 che ricevetti la grazia... della mia completa conversione.
            Eravamo di ritorno dalla Messa di mezzanotte, ove avevo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente; arrivando a casa mi rallegravo di trovare nel camino le scarpe con i doni. Quell’antica tradizione ci aveva dato tanta gioia nella nostra infanzia, che Celina voleva ancora trattarmi come una bambina... Ma Gesù, volendo mostrarmi che dovevo liberarmi dai difetti dell’infanzia, me ne ritirò anche le gioie innocenti e permise che Papà, stanco per la messa di mezzanotte, provasse fastidio... e dicesse queste parole che mi trapassarono il cuore: “Fortuna che è l’ultimo anno!”. Io stavo salendo le scale per andare a togliermi il cappello; Celina, conoscendo la mia sensibilità e vedendo delle lacrime brillarmi negli occhi...: “O Teresa, mi disse, non scendere subito, ti farebbe troppa pena di guardar subito sul camino!”. Ma Teresa non era più la stessa: Gesù aveva cambiato il suo cuore. Ricacciando le lacrime, scesi rapidamente le scale e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpette, le posai davanti a Papà, e allegramente ne trassi tutti gli oggetti, con l’espressione di felicità di una regina. Papà rideva, ritornato allegro anch’esso, e Celina credeva di sognare!...
            In quella notte luminosa cominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello, il più colmo di grazie celesti...
            Sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!”

Il fiorellino bianco
Teresa era entrata al Carmelo il 9 aprile 1888. Una sera di gennaio del 1895, la sorella Paolina, Madre Agnese di Gesù, priora del monastero, le chiese per obbedienza di scrivere i suoi ricordi d’infanzia. Teresa intitolò questo lavoro “Storia primaverile di un fiorellino bianco”.
            La mattina del venerdì santo 1896 Teresa scoprì di essere affetta da tisi e ne ebbe grande consolazione, accogliendo questo segno come l’annuncio della prossima venuta dello Sposo. Nel settembre 1896, la sorella suor Maria del Sacro Cuore le chiese di conoscere “i segreti che Gesù confida alla sua figliolina” e Teresa scrisse la sua risposta durante gli esercizi.
Nel luglio del 1897, mentre la malattia si aggravava, Teresa ricevette dalla priora, madre Maria di Gonzaga, l’obbedienza di scrivere il racconto della sua vita di carmelitana.
            Questi tre manoscritti sono diventati la “Storia di un’anima”. In essa troviamo il volto di Teresa, i segreti della sua vita interiore, il suo “cantico delle misericordie del Signore”.
            Il giorno in cui aveva confidato a suo padre il desiderio di entrare al Carmelo, egli le aveva offerto un fiorellino bianco, sradicandolo dal muschio in cui era sbocciato. Lei vide se stessa nel fiorellino bianco, sradicato dall’infanzia, dalla famiglia e trapiantato sulla montagna di Dio, il Carmelo. Là avrebbe ricevuto la rugiada dell’umiliazione e il sole dell’affetto fraterno.
            Conservò quel fiorellino nell’Imitazione di Cristo e un giorno, mentre ne scriveva la storia, scoprì che si era spezzato lo stelo un po’ sopra le radici; comprese che Gesù non avrebbe fatto appassire il suo fiorellino sulla terra.


Carmelitana e missionaria
Fin da bambina, Teresa aveva desiderato che l’amore di Dio per l’umanità fosse conosciuto e corrisposto, che la misericordia divina raggiungesse ogni persona ferita dal peccato, perché solo in Dio è la pienezza della pace e della vita. All’età di tredici anni, decise di impedire ad un omicida impenitente, condannato a morte, di andare all’inferno. Offri ininterrottamente preghiere e sacrifici, soprattutto offrendo a Dio Padre i meriti di Gesù Crocifisso e della Chiesa, finché, un istante prima di posare la testa sulla ghigliottina, il condannato si volse verso il sacerdote, afferrò il crocifisso e ne baciò ripetutamente le piaghe. Teresa comprese che il Signore aveva accolto la sua intercessione. Crebbe in lei il desiderio di essere apostolo e sacerdote e martire per diffondere l’amore di Dio e salvare i peccatori.
            Per questo entrò al Carmelo: per pregare e offrire se stessa per la salvezza dei peccatori e per aiutare i sacerdoti. Fu sorella spirituale di alcuni sacerdoti missionari; partecipò alla loro missione sostenendoli con la preghiera e l’offerta quotidiana di atti di amore semplici ed eroici, fino all’offerta di ogni momento della malattia terribile che la consumò giovanissima.
            I suoi fratelli missionari testimoniarono quanto fosse stato prezioso l’aiuto della piccola carmelitana nel loro apostolato: grazie a lei poterono operare tante conversioni alla fede in Gesù Cristo.
            Così Teresa, additata alla chiesa del ventesimo secolo come modello di santità, fu anche dichiarata dal papa patrona delle missioni.

La piccola via
La bambina dei Buissonnet – l’abitazione di Lisieux dove era cresciuta - si conosceva terribilmente debole e fragile, eppure era irresistibilmente attirata dall’Amore di Dio, desiderava diventare santa per far piacere a Gesù e per partecipare alla sua azione redentrice. Nel Carmelo, il Maestro interiore le rivelò che “Amore con amor si paga”. La bambina che era stata terribilmente scrupolosa, capace di “piangere per aver pianto”, dopo la conversione della notte di Natale, era diventata la “bambina” che si consegnava con totale confidenza all’amore del Padre offertole in Gesù. Non pianse più, non temette più né la sua incontrollata sensibilità, né la sua debolezza, né i suoi peccati. Sentiva la distanza per lei incolmabile tra la sua piccolezza e l’immensità dei desideri che l’amore di Dio suscitava in lei.
            “Invece di scoraggiarmi mi sono detta: Il Signore non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili... Farmi grande è impossibile; devo sopportarmi così come sono, con le mie imperfezioni; ma voglio cercare il mezzo per andarmene in Paradiso per una stradina dritta, dritta, corta corta, una stradina proprio nuova.
            Siamo nel secolo delle invenzioni; adesso non val più la pena di salire i gradini di una scala: preso i ricchi un ascensore la sostituisce comodamente; ed io vorrei trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché son troppo piccola per salire l’aspra scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore che desideravo e ho letto queste parole...: Se qualcuno è molto piccolo venga a me...
            L’ascensore che deve issarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Perciò non ho bisogno di crescere, occorre al contrario che io resti piccola, che lo divenga sempre di più. O mio Dio, voi avete superato la mia aspettativa e io voglio cantare le vostre misericordie!”


Vocazione all’amore
            E’ ancora da lei stessa che conosciamo il segreto della sua vita, come lo confida alla sorella Maria.
            “Vi è forse un’anima più piccola, più impotente della mia?! Tuttavia proprio a causa della mia debolezza, ti sei compiaciuto, Signore di colmare i miei piccoli desideri infantili, e oggi vuoi soddisfare altri desideri più grandi dell’universo...
            Durante l’orazione, poiché i miei desideri mi facevano soffrire un vero martirio, aprii le epistole di S. Paolo onde cercarvi una risposta... L’Apostolo spiega come tutti i doni più perfetti sono un nulla senza l’amore... che la Carità è la via eccellente che conduce a Dio.
            Finalmente avevo trovato riposo!...Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da s. Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti. La CARITA’ mi offrì la chiave della mia vocazione. Compresi che se la Chiesa aveva un corpo composto da varie membra, non le mancava l’organo più necessario, il più nobile di tutti: compresi che la Chiesa aveva un cuore e che questo Cuore era infiammato d’amore...
            Allora nell’eccesso della mia gioia delirante, ho esclamato: O Gesù, Amor mio, finalmente ho trovato la mia vocazione: LA MIA VOCAZIONE E’ L’AMORE!
            Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo avete dato voi, mio Dio... nel cuore della Chiesa, che mi è madre... io sarò l’Amore... così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato!!!”
            Teresa esprime qui, con parole stupende, ciò che nella semplicità estrema, lei viveva quotidianamente.


Morire d’amore
            Dice di non essere capace di seguire la “via aspra della perfezione”, ma per la bambina dei Buissonnet dovette risultare umanamente molto aspro ogni momento vissuto nella rigida regola del Carmelo. Confessa lei stessa – nei suoi scritti - quanto lo stesso condividere la vita, in monastero, con le sorelle con cui aveva condiviso la tenerezza profonda della vita in famiglia, risultasse una specie di martirio. E a lei che sognava di morire martire, fu concesso “il martirio del cuore”: le occasioni, che lo Spirito le fece scoprire e amare, le si presentarono ininterrottamente. E lei non se le lasciò sfuggire: l’umiliante malattia e la morte del suo “amatissimo Re”, l’aridità del cuore, le tentazioni contro la fede fino alle ultime ore di vita, le umiliazioni, i rimproveri ingiusti accolti senza giustificarsi, i servizi prestati sorridendo alla suora malata che  brontolava su tutto e non si fidava dell’aiuto di una “bambina incapace”, l’acqua sporca presa in viso mentre lavava la biancheria con le consorelle, senza mostrare la minima contrarietà a colei che era la causa involontaria dell’incidente, il sorriso e la gentilezza mostrati ad una suora per la quale si applicava a fare ciò che avrebbe fatto per la persona che amava di più solo perché “quella suora aveva il talento di dispiacermi in ogni cosa tuttavia è una santa religiosa che deve essere molto gradita al buon Dio”.
            Nella festa della santissima Trinità del 1895, Teresa, con il permesso della sua superiora, compilò l’”Offerta di me stessa come Vittima di Olocausto all’Amore Misericordioso del Signore.
            O mio Dio, Trinità beata! desidero Amarvi e farvi Amare...
            Per vivere in un ATTO DI AMORE PERFETTO. IO MI OFFRO QUALE VITTIMA DI OLOCAUSTO AL VOSTRO AMORE MISERICORDIOSO, supplicandovi di consumarmi incessantemente, lasciando traboccare nell’anima mia i flutti di tenerezza infinita racchiusi in Voi, e così io divenga Martire  del vostro Amore, o mio Dio!
            Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire al vostro cospetto, mi faccia morire infine, e che l’anima mia si slanci senza ritardo all’abbraccio eterno del Vostro Amore Misericordioso...”
            Teresa morì il 30 settembre 1897, dopo mesi di sofferenza “orribile”, come ebbe a dire il suo medico. Le sue ultime parole, guardando il Crocifisso che teneva in mano: “Oh! Lo amo!... Mio Dio..io... vi amo!”.