CARAVAGGIO, Conversione di San Paolo
XIV domenica tempo ordinario B
2Cor 12, 7b-10
2Cor 12, 7b-10
Non si può negare che Paolo fosse un eletto. Scelto tra
tanti, scelto tra i persecutori per diventare testimone privilegiato, per
essere apostolo dei pagani. Un cambiamento di vita radicale, da un estremo
all’altro. Destinatario di grazie speciali, straordinarie, di cui egli stesso
dà testimonianza.
Era Saulo; è diventato Paolo, piccolo: chi è grande davanti
a Dio? Non ha detto Gesù, il Crocifisso, che per entrare nel Regno occorre
diventare piccoli?
Paolo: il contrario di Simone diventato Pietro.
Strane e incomprensibili le scelte e le opere di Dio.
Simone è fragile. Pur essendo un forte pescatore e, forse,
un Bar-Jona, affiliato a un gruppo di
violenti rivoltosi, a Simone riesce facile essere debole, fragile. Non deve
impegnarsi, gli viene spontaneo, andando dietro alla fragilità delle sue
emozioni. E di tanto in tanto deve accorgersi di non essere all’altezza del
pensiero e dello stile del Maestro, che si trova costretto a correggerlo e a
richiamarlo. Fragile, debole, lui che si credeva più forte degli altri, fino a
quella notte spaventosa, fino al canto del gallo che gli fa scoprire il suo
nulla, il suo peccato, il suo tradimento, la sua incapacità a restare amico
fedele. E non glielo aveva detto Gesù? proprio il gallo, cantando, glielo
ricorda. Un piccolo gallo, quella notte, lo schiaffeggia nel profondo del
cuore. Lui, Simone, che Gesù aveva rinominato Pietro-Roccia-Forza. Ma non è
possibile che Gesù volesse prenderlo in giro, schernirlo, con quel nome che
nella notte del tradimento sembra un insulto. Quel nome è la missione di
Simone. Ma la sua missione è dono, lo Spirito del Risorto sarà il protagonista
vero della sua missione. Il Risorto è la
Pietra angolare e lo Spirito renderà Simone così Uno con Gesù, da renderlo la
Roccia della Chiesa di Cristo. La forza dello Spirito nella debolezza di
Simone. Forse proprio per la sua debolezza e per l’esperienza di fragilità e di
peccato di Simone, Gesù lo sceglie come Pastore di un popolo di deboli
peccatori, bisognosi della misericordia che sgorga dal Cuore del Trafitto.
Saulo, invece, è un eletto. Già prima di essere conquistato
dal Risorto. Lo spiega lui stesso: “circonciso all’età di otto giorni, della
stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla
Legge, fariseo” (Fil 3,5). Tutti indicatori di elezione, all’interno del
Popolo Eletto. Ma non basta: poi viene eletto anche da Cristo Risorto. Povero
Saulo: è vero che si trasforma in Paolo, ma l’elezione è elezione: è la più
grande tentazione alla superbia.
Ed è difficile ricordare, per gli eletti, che semplicemente
il Signore-Servo del Padre e dei fratelli peccatori sceglie persone deboli per
renderli servi, ultimi.
Troppo nella Chiesa si è parlato di elezione in riferimento ai
consacrati, in particolare ai sacerdoti. Ma l’elezione riguarda tutti quelli
che il Signore chiama alla comunione con lui, cioè tutti, e tutti peccatori.
Tutti eletti alla santità, grazie solo alla sua misericordia. E di questa
misericordia i consacrati sono servi.
Troppe volte, io consacrata, sento dire che i consacrati sono
privilegiati perché sono stati scelti da Dio e perché hanno sacrificato tutto
per Dio. E ci sto male. Io non ho sacrificato nulla, ho ricevuto tanto e non so
perché. Dio mi ha dato tutto come dà tutto a tutti coloro che sono disposti a
ricevere da Lui. Ci dà Se stesso. È vero,
la consacrazione è un dono: questo significa che non sono creditore, ma
debitore, verso Dio e verso tutti. Coloro che Dio chiama alla vita consacrata
non ne sono meritevoli e neanche lo diventano.
La tentazione della superbia può far credere che la consacrazione renda privilegiati quanto
alle umane debolezze, quasi immuni, comunque migliori, almeno “diversi”, “separati”.
A volte lo si nota dai discorsi e dalle omelie, che spesso parlano un
linguaggio così diverso e distaccato dalle comuni realtà della vita!
Il Figlio di Dio, che era “tutt’altro da noi” ha voluto
essere simile a noi, uno con la
fragilità della nostra condizione umana. Come possiamo noi pensare di servire
il Regno “ distaccandoci” dal resto dell’umanità?
Chissà chi sarà stato l’inviato di Satana incaricato di schiaffeggiare
Paolo ogni volta che è tentato di superbia! Così tormentoso che per tre volte chiede
al Signore di liberarlo. Ma il Signore non è del parere.
Questo Signore che da Ricco si è fatto povero, da Padrone
servo, da Onnipotente debole, da Santo tentato, ci sceglie con le nostre
debolezze e non intende liberarcene.
Perché le nostre debolezze, fisiche, materiali, spirituali,
persino morali, ci rendono più simili a Lui Crocifisso e Nudo. E per la verità
Lui ha voluto essere Crocifisso e Nudo per somigliare a noi, crocifissi e nudi.
La debolezza è ciò che ci identifica come creature, come
figli peccatori. La debolezza è il luogo
tutto nostro nel quale possiamo accoglierlo e lasciarci amare.
Papa Giovanni Paolo I ebbe a dire – scandalizzandoci nel suo
brevissimo magistero di Vescovo di Roma – che anche il peccato mortale può
essere permesso da Dio per mantenerci nell’umiltà, che è l’unica condizione
onorevole per noi. Mentre noi, con la scusa di dover dare buona testimonianza,
siamo preoccupati dell’immagine che diamo di noi stessi. E cadiamo nell’ipocrisia.
Sorella gemella della superbia.
Simon Pietro e Saulo Paolo, due forti deboli, due pastori
scelti dal gregge, peccatori come le pecore del gregge, servi del Signore e con
Lui servi dell’umanità. Amati e scelti
dal Cristo, hanno dovuto imparare che nella debolezza si manifesta la forza,
quella dello Spirito di Dio, che sgorga dal Cuore dell’Umiliato Figlio, che non
si vergogna di chiamarci fratelli davanti al Padre.
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