GIORGIO DE CHIRICO, Cristo e la tempesta
Lo stupore è il protagonista di questa pagina di vangelo,
che sembra una parabola, ma è un avvenimento: lo stupore pieno di spavento dei
discepoli che vedono il sonno assurdo del Maestro mentre stanno affondando; lo
stupore del Maestro per la mancanza di fede dei suoi discepoli. Di nuovo lo
stupore dei discepoli per il potere inaudito del Maestro che fa tacere il vento
e calmare il mare in tempesta; lo stupore – il mio stupore – di chi legge un
simile racconto.
E la parola che più mi stupisce, la più strana del Vangelo,
forse: “lo presero con sé, così com’era, sulla barca”.
È come un immenso punto interrogativo, che mi costringe a
fermarmi… a indagare? Forse solo ad ascoltarla, a ripetermela… e contemplarla.
È solo un inciso, forse è un errore di trascrizione, forse è finita lì per
caso, una parola scappata in più dalla penna dell’autore... Eppure Marco non è
uno scrittore prolisso, non è uno abbondante di parole, anzi pare sempre che le
misuri. E allora questa frase misteriosa – così
com’era – non sarà il seme nascosto da cui fiorisce la spiga? Poco prima,
forse nello stesso giorno, Gesù ha proprio parlato del granello di senape.
Questo racconto della tempesta sedata è la conclusione del capitolo 4, in cui sono
riportate tre parabole il cui protagonista è il seme della Parola di Dio; con
queste parabole Gesù intende consegnare ai discepoli il “mistero del Regno di Dio” e invita a saper ascoltare e guardare,
per poter vedere, comprendere ed essere salvati.
“Così com’era”:
se fosse questo il seme nascosto da cui fiorisce la spiga? Se fosse, in questa
piccola parola, nascosto il mistero? Se fosse questo il segreto che non può
rimanere nascosto ma essere messo in luce?
“Chi ha orecchi per
ascoltare, ascolti!”, ci dice Gesù.
Tanto è assordante il rumore del vento e del mare, della
paura, delle grida; tanto è assordante l’emozione che suscita questo racconto
della tempesta, a cui la vita è quotidianamente sottoposta, con lo stupore
arrabbiato di vedere Gesù che dorme su un cuscino! Tanto è assordante la
delusione di sentirsi abbandonati in mezzo alla violenza del mare e della
morte! Tanto è assordante lo stupore di una subitanea insperata salvezza venuta
dalla potenza della parola del Maestro: “Chi
è costui?”. E alle orecchie del cuore in subbuglio sfugge quella piccola
parola: “Così com’era”.
Com’è difficile per me, per noi, essere così come sono, come
siamo! Forse nemmeno in famiglia, con le persone con cui siamo in intimità,
riusciamo ad essere come siamo. Cioè senza maschere, senza trucchi, senza formalità e formalismi, senza titoli dai
quali crediamo di ricevere dignità e ruolo e valore e prestigio e superiorità.
“Lo presero con sé, così com’era, sulla barca”.
Com’è commovente questa parola: lo presero con sé. Può
suscitare in noi come un senso di santa invidia. Presero con sé Gesù sulla
barca, nella loro vita. Lo presero così
com’era, nella sua verità di Uomo, nella sua semplicità di Uomo Fratello
che ha persino abbandonato madre e fratelli di sangue per donarsi come fratello
a tutti coloro che hanno fame di senso e di vita e di verità e di amore. Uomo e
Fratello, come loro stanco e bisognoso di riposo, come un bambino fragile che
si consegna fiducioso alla loro perizia di marinai e alla loro premura di amici,
che sulla barca non fanno mancare un cuscino. Uomo consegnato nelle povere mani degli
uomini, consegnato ai disagi, alle fatiche, ai pericoli, alla stanchezza e all’amicizia
degli uomini. Consegnato alle loro paure e alle loro incomprensioni. Sì,
consegnato anche alla loro incredulità, capace di stupire l’Uomo e Dio. Infine
consegnato alla loro croce.
Lo presero così com’era,
senza saper scorgere nell’Uomo la presenza del Dio vivente, che ha creato i
cieli e la terra e il mare e quanto contengono.
Così com’era:
forse è nascosto qui il mistero inaudito e insondabile e ineffabile del Dio
fatto Carne, consegnato al limite della creatura, al suo dolore, alla sua
paura, alle tempeste spaventose che ne sconvolgono, accompagnandola, la
traversata della vita. Dio onnipotente nell’amore e per questo debole, Uomo. Tanto
Dio da essere Uomo. Che ritrova la sua potenza per salvare i suoi amici e
fratelli, ma che chiede la fede per non avere paura quando sulla barca in
tempesta c’è lui che dorme. Tanto Dio da consegnarsi per sempre all’amore
debole dell’umanità che ha scelto come grembo da cui fiorire e in cui riposare,
da cui nascere e in cui essere sepolto, per trascinarla, così com’è, con sé, in quella culla della Vita che è l’Eterno Amore
trinitario. E farle raggiungere l’altra riva, che inizia già là dove la vita è
consegnata alla luce e alla lotta della fede.
Ho letto diversi commenti a questo brano di Vangelo, ma questo l'ho trovato veramente "geniale" nelle sue intuizioni. Anch'io, leggendo il brano, ero rimasta colpita da quella frase: "così com'era" (com'era come? mi sono chiesta senza riuscire a dare a questa domanda una risposta per lo meno logica ed esaustiva).
RispondiEliminaEd il Signore, che è grande e buono nel Suo amore, ha fatto sì che io mi imbattersi nel suo "luminoso" commento di cui La ringrazio di vero cuore. É la prima volta che leggo il suo nome è cercherò di seguirla come potrò nei suoi scritti. Grazie!